Sono tornata a San Sperate, questa volta non per le pesche o meglio non solo per le pesche che restano fondamentali nell’economia del paese: proprio accanto all’edificio del Comune c’è un enorme murale che testimonia l’importanza di questo frutto per questa gente.

È una scena che sa di lavoro nei campi, un uomo solca la terra con l’aratro trainato dalla solita coppia di buoi che non manca mai in qualsiasi descrizione o raffigurazione di vita campestre, c’è anche la donna con in braccio una bambina, ma dal carro, in posizione centrale nel pannello, non vengono giù mannelli di spighe di grano come ci si aspetterebbe, dal carro rotolano pesche che vanno a formare cumuli al suolo e a riempire cesti traboccanti proprio a sottolineare l’abbondanza del prodotto. E questo non è l’unico murale che ha le pesche come soggetto, siamo a San Sperate conosciuta come ‘Paese Museo a Cielo Aperto’ per le centinaia di variopinti murales che decorano i muri degli edifici.

Ma fa troppo caldo per andare in giro per il paese, quello che vogliamo visitare è il ‘Giardino Sonoro’ dell’artista Pinuccio Sciola che è comunque parte del museo a cielo aperto.

Mi sento la pulce che fa la tosse a voler parlare di questa persona di cui tanto si è detto e scritto,  ma l’idea di fondo che ha mosso tutta la sua opera è troppo affascinante per restarne indifferente.

Fare uscire la voce, il suono,  imprigionati nelle pietre che sole conservano la memoria di tutto quanto accadde nel processo di formazione della Terra.

Mi piace pensare che forse alcune particelle di polvere poi raggruppate a formare sassi sempre più grandi siano riuscite a trattenere echi della grande esplosione che ci fu.

E forse non è un caso che sia stato un sardo a dedicare la vita alle pietre, l’isola ne è piena, l’isola è di pietra,  lo sguardo che spazia non vede che  cespugli e rocce,  cuscini di mirto e  macigni, ginepri  e rupi, grovigli di rosmarino selvatico e lastre, olivastri e monoliti.

Ma come si fa a estrarre il suono dalle pietre? Se si batte con la mano o con un arnese su un sasso quello che sentiamo non è la sua voce, è il rumore del colpo, non è il percuoterle che ne libera i sospiri, i mormorii, i gemiti.

Ogni lastra del Giardino Sonoro, che sia basalto o calcare, è stata scolpita, tagliata, forata, puntinata, quadrettata, profonde linee verticali e orizzontali le attraversano, sembra di stare di fronte a enormi arpe e canne di organo vibranti pronte a entrare in maestose cattedrali, ma anche in luoghi che ancora non conosciamo.

È una strana sensazione quella che offrono queste sculture, da una parte ci parlano di una storia vecchia di miliardi di anni, dall’altra sembrano appartenere a scenari futuri, le immagino in spazi deserti come enigmatiche e solenni presenze.

E anche si sente una forte spiritualità: nel Giardino alcune pietre sono state come sbucciate, è stata tolta parte della crosta per arrivare a scoprirne l’anima che si può vedere e toccare: è grigia, liscia, tenera, un vero piacere accarezzarla, in realtà è il segno del magma che si è raffreddato all’interno della crosta terrestre.

Scopro che fra l’ottobre e il novembre del 2008 c’è stata una mostra nella Piazza Inferiore di Assisi dove sono state adagiate centocinquanta pietre parzialmente scrostate  che Sciola ha chiamato “I Semi della Pace”.

la pace ha bisogno di essere “coltivata”, partendo dall’immagine del seme, con cura, rimovendo ogni ostacolo al suo svilupparsi.” (Padre Vincenzo Coli, custode della Patriarcale Basilica del Sacro Convento di San Francesco ad Assisi.”

Andando via dal Museo porto dentro di me la consapevolezza che da questo momento in poi guarderò le pietre con nuovi occhi.