E’ di Mosciano Sant’Angelo (Teramo) ed è sbarcato negli Stati Uniti nel 1972 Walter Potenza. L’amore per il cibo sano e di qualità, la passione per la cucina abruzzese e mediterranea hanno attraversato insieme a lui gli Oceani, incrociato luoghi e generazioni e lasciato un segno profondo nel settore della ristorazione.

Non è solo uno Chef affermato Walter Potenza, ma anche un promotore culturale che da più di 40 anni insegna la filosofia del buon cibo e del vivere sano, divulga il valore della buona tavola, fa conoscere nel mondo la cucina abruzzese e i prodotti eccellenti del Made in Italy

Vive a Providence capitale dello stato di Rhode Island e qui ha aperto il primo Ristorante e una Scuola di Cucina italiana e mediterranea che porta il suo nome “Chef Walters Cooking Scool”. Una cucina di qualità, intrisa di italianità è quella che lo Chef Walter porta con sé in giro per il mondo. Una idea di ristorazione che sostiene anche con due Agenzie di Consulenza per le realtà aziendali enogastronomiche italiane e divulga attraverso programmi televisivi oltre che sul Web.

Cibo e benessere sono per lui un binomio imprescindibile e alla base di “una filosofia di vita e di palato”, come afferma egli stesso, una filosofia intrisa di legami forti con le sue radici abruzzesi, ricca di rimandi e di ricordi.

Gli allievi dei corsi amatoriali con lo chef abruzzese Walter Potenza

Lo Chef Walter promuove Oltreoceano una cucina che si avvale di anni di preparazione, esperienza, studio continuo e rigorosa disciplina. Ricerca, educazione, tecniche e preparazione sono alla base di tutto” ne è convinto Potenza.- “Tutto ciò, però, non servirebbe se non ci fosse dietro la disciplina personale e un patrimonio di valori e di principi forti. Lo chef spende la vita per gli altri, in cerca di un sorriso, ripagato da un complimento. Ma per ottenere soddisfazione bisogna lavorare con professionalità ed essere disciplinati con se stessi.” Ribadisce più volte nel corso della intervista.

Presidente dell’Associazione Ciao Italia USApartecipa a competizioni, campionati, gare e ad eventi internazionali continuando a collezionare titoli e onorificenze. Per proseguire la sua opera di infaticabile promotore ed ambasciatore della “La cucina italianagira il mondo portando con sé il ricco bagaglio culinario italiano e nel cuore il territorio teramano delle sue radici.

L’elenco delle cose da dire per introdurre la “chiacchierata” con l’abruzzese Walter Potenza sarebbe ancora molto lungo, ma mi fermo qui non senza aver prima ricordato, però, che è stato premiato dai Presidenti della Repubblica Luigi Scalfaro, prima, e Giorgio Napolitano, poi, proprio come Ambasciatore della Cucina italiana nel mondo. Inoltre nel 2009 ha ricevuto le 5 Stelle dell’American Academy of Hospitality Sciences di New York.

Domanda: Con queste premesse risulta difficile definirla con un nome solo! Come dobbiamo chiamarla? Chef o imprenditore? Maestro o divulgatore? Con quale appellativo posso rivolgermi a lei? Possiamo dire che è un professionista a tutto tondo?

Risposta: Certamente vorrei essere ricordato come un professionista che ha dedicato la sua carriera per la promozione e diffusione della cultura gastronomica italiana negli USA. Il mio impegno è sempre stato rivolto a mettere in evidenza gli elementi che fanno del mondo italiano un esempio da seguire. Ho sempre proposto al consumatore la mia filosofia del cibo e non solo il semplice ingrediente. Ho cercato di spiegare e far capire che un prodotto non vale l’altro e che la qualità è legata a fattori come artigianalità, territorio, sapienza e rispetto delle tradizioni. Mi considero un uomo fortunato ad essere nato in Italia, in Abruzzo, e di aver avuto un’ adolescenza splendida con dei genitori sempre pronti al supporto. La mia famiglia è stata la principale ragione del mio successo. Ho ricevuto una formazione etica che mi ha permesso di vivere con coerenza in un mondo americano con tante distrazioni e difficoltà.

D: Certo non sarà stato facile cambiare le abitudini degli americani ed educare il loro palato! In America dove tutto è “big”, dove tutto è grande e sensazionale e dove prevale la cultura della quantità sulla qualità, proporre la particolarità della cucina abruzzese, fare apprezzare la qualità e farla prevalere sulla quantità sarà stata una impresa titanica?

R: Cambiare il modo di pensare degli americani per quanto riguarda l’alimentazione è stato l’ostacolo più arduo da superare. La concezione americana del “riempirsi” prevale a scapito dell’ “alimentarsi” e nella ristorazione ho dovuto nei primi tempi per forza di cose adattare in parte la mia cucina alla realtà in cui mi trovavo. Piano, piano sono riuscito a trovare il giusto equilibrio e le soddisfazioni sono arrivate. Ho avuto e continuo ad avere successo soprattutto nella Scuola di cucina dove riesco veramente a proporre la mia filosofia di veracità, e mi accorgo che con il mio lavoro contribuisco sempre più ad un cambio generazionale del palato. Essenzialmente nella Scuola il consumatore viene per apprendere, nella ristorazione il consumatore è solo interessato all’esperienza del momento.

D: Nell’America multietnica e multiculturale che ruolo ha la cucina italiana? E in base alla sua esperienza come è cambiata negli anni la ristorazione in America?

R: Per una nazione multiculturale con diversità etniche molto presenti, le opzioni sono tante e varie. Negli ultimi 40 anni gli Americani sono passati da una conoscenza sporadica verso il mondo degli altri, ad un confronto più profondo che li ha portati ad intraprendere un immersion verso le altre culture. Siamo passati da un circuito chiuso ad una globalizzazione di sapori. La loro propensione al travel, a viaggiare e a spostarsi li ha essenzialmente costretti a documentarsi. Allo stato attuale gli Americani mangiano e bevono molto meglio rispetto agli anni 70. La nuova ristorazione e la creazione del Food Network con la presenza di star-chef ha rappresentato un motivo di crescita culinaria e di scelte alimentari più varie e sane.

Oggi pur sapendo che c’è tanta strada da fare posso considerarmi soddisfatto perché cucinare cibo italiano negli USA è diventato molto diffuso e più facile. I prodotti sono reperibili e di grande qualità. Gli inizi degli anni 70 furono costellati da molte difficoltà e da tanti sacrifici, ma la perseveranza ha vinto sulle occasionali disfatte.

D: Che cosa conserva delle sue radici nella proposta di alimentazione e di ristorazione in che modo la cucina tradizionale è stata personalizzata e adattata ai nuovi gusti? Quali i punti di forza delle sue proposte e qual è la ricetta del successo?

R: Ho sempre pensato al cibo come “medicina per il corpo”. La mia adolescenza in Abruzzo mi ha insegnato molto, e mi ha permesso di condividere le mie esperienze culinarie con un mondo diverso ma propenso ad ascoltare. La mia vittoria, se di ciò si può parlare, è dovuta alle forti radici, alla profonda conoscenza della nostra cucina, ma anche alla capacità di saperla reinterpretare e reinventare continuamente in relazione ai trends che si sono sviluppati negli anni. Ho sempre proposto una cucina rivolta alle nuove generazioni, usando come metro di valutazione i gusti delle mie due figlie, entrambe nate qui. Studiare i loro gusti mi ha aiutato a capire come bilanciare le mie proposte e operare una sintesi fra la mia cucina di base, tradizionale, attenta alla salute e al benessere e i gusti che sono in continua evoluzione soprattutto nella realtà in cui vivo. Io stesso vivendo qui mi sono confrontato con altre culture, mi affascina la cucina del Medio Oriente e ho approfondito, per esempio, la cucina ebraica. Sono uno dei 6 chefs negli USA specializzato nella cucina Ebraica Sefardita. I clienti dei miei Ristoranti hanno sempre avuto la possibilità di scegliere fondamentalmente fra tre menu relativamente alla Cucina Regionale Italiana, a quella Ebraica Sefardita presente in Italia, e alla cucina Americana-Italiana.

D: La comunicazione è una voce importante anche nel mondo della ristorazione e del business in generale, come si è organizzato e a chi affida il suo messaggio per promuovere il prodotto firmato Italia?

R: Della parte comunicativa mi sono sempre occupato io, perché ho una certa facilità nel condividere le mie idee. Inoltre sono un assiduo ricercatore ossessionato dal sapere. Penso che non si possa divulgare senza avere una grande formazione alle spalle. Nel 1986 iniziai un programma televisivo sulla cucina Italiana che è rimasto in attività fino all’inizio della pandemia. Essere di fronte ad una telecamera per anni ha avvalorato e rafforzato il ruolo di ambasciatore della nostra cucina, un impegno che condivido con tanti chefs qui e nel mondo. Siamo in tanti con la medesima missione sempre pronti a collaborare e a scambiarci esperienze per la promozione del Made in Italy e dell’ Italian Style.

D: Sappiamo che all’estero è facile incontrare prodotti con nomi italiani “spacciati” per originali. Come vengono tutelati i prodotti italiani autentici? Esiste una certificazione controllata all’estero?

R: La battaglia nel combattere le falsificazioni è lunga e feroce. Negli USA non ci sono enti vigenti, pertanto ricade tutto su di noi. Continuare con fermezza nell’educare è l’ unico modo per poter eventualmente limitare i danni che queste contraffazioni recano all’economia ed al palato.

D: Quali sono i posti negli USA in cui c’è più desiderio e “fame” di Italia?

R: Particolarmente nelle zone dove l’immigrazione prevale. Sulla costa Atlantica, in special modo a New York, New Jersey, Pennsylvania, ed altri. Poi sulla costa Pacifica, certamente in California. Negli Stati Centrali esiste poco di italiano ma molti Ristoranti Fast-Food con stile italiano, si fa per dire.

D: A causa della pandemia tutto il mondo ha dovuto rallentare la sua corsa e il mondo della produzione, del turismo e della ristorazione sta pagando un prezzo molto caro. Come state vivendo negli USA questo periodo di crisi? Quali le preoccupazioni? Quali le opportunità e le prospettive per il futuro?

R: Ovviamente per una nazione abituata a frequentare moltissimo i ristoranti, questa brusca fermata ha imposto un crollo finanziario che ha portato a tante chiusure. Se si pensa che solo Manhattan ha perso 13 mila ristoranti, si ha l’idea della crisi che attraversa questo settore. Però come in tutte le vicissitudini, si può imparare anche dai momenti difficili e disegnare un futuro migliore. Penso che questa pandemia potrebbe aiutare a ridisegnare un nuovo modello operativo, con nuove idee e stimoli. Dobbiamo essere propensi a rinvigorire le nostre possibilità, riattivare un contatto diretto col consumatore. In questo momento la parte marketing è fondamentale e occorre investire molto anche sui social networks.

D: Anche la riapertura di Fiere ed Eventi enogastronomici sarà fondamentale per ripartire. Quali programmi ha per il futuro? A quali Eventi pensa di partecipare appena sarà possibile? Cibus e Vinitaly sono nella sua agenda?

R: Sicuramente non vedo l’ora di riprendere i bagagli e partecipare ad Eventi importanti in Italia come Cibus e Vinitaly, ma ho in programma di prendere parte anche alle Fiere di settore nei Paesi Arabi, dove già sono presente con un programma televisivo. Ovviamente anche lo Specialty Food qui negli USA è un appuntamento da non mancare. 

D: A Parma è stato in diverse circostanze e ha partecipato al Campionato Mondiale della Pasta. Quando riprenderanno Eventi e Fiere, speriamo presto, intende partecipare di nuovo e tornare in questa città eletta, tra l’altro, Capitale Italiana della Cultura 20/21?

R: Una bellissima esperienza a cui ho partecipato 3 volte. Confrontarmi con altri chef mondiali fu una importante occasione di crescita professionale. Conobbi tante persone che negli anni sono rimasti illustri colleghi e amici. Fra tutti cito il Direttore Donato Troiano, a cui invidio i capelli e la sua energia. Certamente se invitato parteciperò molto volentieri per poter continuare la mia opera di promozione del Made in Italy e rinnovare il valore del Barilla Brand.

D: Con quali ricette ha scelto di partecipare all’Ebook di Parma Capitale italiana della Cultura 1920 + 21 promosso da GustoH24?

R: Le mie ricette, quasi sempre basate sulla semplicità e sulla tradizione, possono essere facilmente eseguite a casa, pertanto ho rispolverato una ricetta frugale antica tramandata dai miei nonni, agricoltori dell’entroterra teramana: Zuppa di pane e verdure. Un piatto umile, ma ricco di sapienza contadina, cotto nel coccio di terracotta e “aggiornato” con qualche tocchetto del buon prosciutto di Parma e di Parmigiano e profumato con qualche foglia di mentuccia. Inoltre ho presentato il Fagottino al Prosciutto di Parma “sposato” perfettamente con ricotta e Parmigiano al profumo di maggiorana e di noce moscata, su crema di broccoletti.

Un piatto in onore dei prodotti di Parma: Parmigiano Reggiano e Prosciutto di Parma
Zuppa di pane e verdure, un piatto tipico abruzzese dedicato a Parma Capitale Italiana della Cultura Italiana 1920 + 21

D: Qual è la parola chiave per il successo nel suo campo? Quali requisiti deve possedere il giovane chef? Quali consigli e suggerimenti potrebbe dare ai giovani che vogliono intraprendere questa professione e continuare a portare la cucina italiana ed abruzzese alla ribalta? E’ ancora possibile conciliare tradizione e innovazione?

R: Alle nuove leve suggerisco di specializzarsi, di essere molto preparati e di non essere approssimativi. Oggi bisogna avere una grande preparazione in un settore specifico ed essere riconosciuto come “l’esperto”. I mercati richiedono sempre più una robusta conoscenza in un particolare tipo di cucina. Avere una identità ben definita e una qualifica aiuta ad affermarsi e ad avere successo. La solida preparazione e specializzazione insieme alla forte identità, alla disciplina e alla voglia costante di migliorarsi sono gli ingredienti fondamentali. I giovani non dovranno mai perdere di vista che il cuoco è un artigiano che lavora con le mani e con la testa e deve avere il cuore rivolto a soddisfare il cliente dal quale riceverà un sorriso, un complimento che lo gratificherà più di ogni altra cosa!

Avremo sempre bisogno di un nuovi chef che sappiano innovare, di giovani capaci di personalizzare la cucina tradizionale e i prodotti artigianali. Ma prima di innovare bisogna avere profonde conoscenze della cucina di appartenenza, una chiara idea del punto di partenza e avere validi parametri da seguire. Per essere innovativi è fondamentale anche sapere quando fermarsi. Usando una frase di mio fratello Lauro ( un grande artista che vive in Abruzzo): “Il compito di un artista è di sapere quando mettere giù il pennello” allo chef si può applicare la medesima regola e aggiungere: “ mai più di 4 ingredienti nel piatto”. Questo è stato il mio motto e il suggerimento che mi sento di dare anche alle nuove generazioni di cuochi. Inoltre oggi è importante che uno chef tenga alla sua forma fisica per poter convincere il consumatore che la sua cucina segue un concetto salutare e di wellness. Lo chef stereotype degli anni passati, corpulento e col grembiule avvolto allo stomaco, non garba più, ed offre un immagine distorta. Si vende quello che si vive! Vivere una vita sana e regolata è il miglior biglietto da visita per lo chef. Tutto ciò ha funzionato per me in una terra strana e difficile, certamente potrà offrire alle nuove generazioni le soddisfazioni che cercano. Lo spero vivamente!

D: C’è ancora spazio negli Stati Uniti per i giovani? Non è saturo questo mercato e troppa la concorrenza? Quali i Paesi in cui sarebbe più vantaggioso e utile investire?

R: I mercati USA non sono mai saturi. La concorrenza aiuta a far meglio e a superarsi. Oltre che qui, in questo momento investirei sul Canada e nei Paesi Arabi.

D: Come vede il futuro della ristorazione italiana ed internazionale? Dopo questa drammatica parentesi della pandemia quali le riflessioni e i cambiamenti di rotta necessari secondo lei per rilanciare il settore?

R: Sicuramente l’innovazione rappresenta una voce importante. Durante la pandemia si è visto la crescita del take-out and del delivery. La nuova gastronomia include la crescita di mail-order food, per cui gli ingredienti giungono direttamente a casa e permettono di preparare tutto in privato e facilitano il ritorno a cucinare in casa, un’abitudine rara in questo Paese. Durante questa pandemia abbiamo notato, specialmente qui negli USA, un interesse nel seguire ed apprendere nuove ricette da sperimentare nella cucina di casa. Il consumatore cerca di cucinare a casa, molto di più, per questioni legate alla sicurezza ed alla spesa. Ecco, io vedrei la ristorazione in generale offrire opzioni take-out a prezzi minori, ed anche considerare il food-by-mail con il nome dello chef come brand. Potrebbe essere un’ idea per arrotondare i ricavi.

Lo chef Walter Potenza
  • Ultima domanda: Nel dopo-pandemia su quali iniziative e partecipazioni intende puntare in prospettiva della ripresa?

    La risposta: Generalmente partecipo alle competizioni negli USA offerte dal Food Network. Certamente apprezzo e non trascurerò tutte le opportunità e le importanti competizioni in Italia.

    Partecipare è vincere a priori!