Anche i Grandi se ne vanno! Il mondo della pastorizia abruzzese perde un altro grande personaggio,

Si è spento a 62 anni Gregorio Rotolo, pastore e “caciaro” abruzzese. Un gigante senza tempo, testimone e custode autentico di quella civiltà agro-pastorale che rappresenta il fulcro della identità abruzzese.

Mi addolora la scomparsa di Gregorio Rotolo, a cui un brutto male non ha lasciato scampo”. Lo afferma l’assessore regionale abruzzese alle Aree interne Guido Liris, che ricorda “il suo impegno nella tutela e nella salvaguardia della montagna abruzzese, della biodiversità, in una vita spesa nella difesa del territorio”. “Come amava presentarsi, Rotolo ‘trasformava in formaggi quello che gli offriva ogni giorno il Creato’, e grazie alla sua perseveranza e ad un impegno costante iniziato da ragazzino, è riuscito a far conoscere l’Abruzzo ben oltre i confini regionali”.

Con Gregorio se ne va un pezzo del nostro Abruzzo autentico, vero e inimitabile”. Queste le parole di cordoglio del presidente Uncem Abruzzo, Lorenzo Berardinetti, per la scomparsa di Gregorio Rotolo. “Ci conoscemmo oltre 20 anni fa quando girava per le sagre con i suoi formaggi dando la possibilità a tutti di apprezzare quei sapori genuini che oggi non sono così facili da trovare”, ha ricordato Berardinetti, “era vulcanico, lungimirante e allo stesso tempo schietto e sincero. Amava la sua terra e apprezzava tutto quello che veniva fatto per valorizzarla. Mancherà all’Abruzzo un custode delle tradizioni come lui. E mancherà anche a tutti noi”.

L’intervista di Alba Simigliani

Voglio ricordarlo e salutarlo con questo mio articolo che risale al 2016

GREGORIO   è   MAGNO 

Storia di un Formaggio fra Tradizione e Innovazione

Conoscete Scanno? E’ uno dei posti più belli e significativi della civiltà pastorale abruzzese!

A 1000 metri sul pendio della Montagna Grande, circondato dai Monti Marsicani, entro i confini del Parco Nazionale, fa parte del Club dei Borghi più belli d’Italia. Paese di fiaba in provincia de L’Aquila, sospeso nel tempo, abbracciato alla roccia, tra archi, portali di pietra scolpiti, scale e viuzze, racchiude il fascino antico e uno scrigno di bontà. In un’area protetta, attraversata da freschi ruscelli, protetta da fitti boschi, si affaccia sul lago palpitante, a forma di cuore, che porta il suo nome. Con la montagna condivide l’aria fresca e i profumi evocativi della millenaria civiltà pastorale. I costumi  delle sue donne sanno d’Oriente, così come i merletti, i ricami e l’artigianato orafo  immortalati dall’occhio, dalla mente e dal cuore di Henri Cartier Bresson in scatti di memoria ineguagliabili.

Sono stati i pastori e le pecore ad “allattare” e a far crescere “forte e gentile” questa terra e la sua gente, a far nascere e ad “allevare” quella civiltà transumante che lungo tratturi e tratturelli “menava” migliaia di capi di bestiame e con essi i racconti, i templi, le erbe di montagna che lungo la via si mescolavano ai profumi delle valli, all’odore del vento, fino al sapore del mare. Sono stati loro a tracciare le basi della civiltà abruzzese, loro che s’incamminavano per mesi con un poco di pane “rozzo”, quello che D’Annunzio ha ingentilito chiamandolo Parrozzo, bagnato di latte caldo appena munto e di lacrime delle donne amate a cui restava per mesi solo la carezza della “Presentosa” legata sul petto  come pegno d’amore!  Sempre loro hanno costruito le fondamenta della ricca e gustosa gastronomia abruzzese barattando lungo la via il cacio con le uova dei contadini, dando vita così,  ad uno dei più tipici ed intensi sapori della tradizione culinaria agro-pastorale di questa regione.

Ebbene dentro questa terra, fra queste montagne, vive una figura mitologica, un pecoraio abruzzese autentico, che ancora oggi, come mille anni fa, produce un formaggio vero, sincero, onesto, grande, che prende il suo nome: Gregorio.

Ve lo presento: il pastore e il formaggio:  ma prima di cominciare mi impone di darci del “tu”.

Ciao Gregorio! In continuità con la millenaria tradizione, come fai di questi tempi a conservare te e i tuoi formaggi così autentici,  a restare fedele alla storia, alla cultura, alla tua terra, alla natura? Sei coraggioso, quasi eroico direi.  

– Dici bene! Siamo coraggiosi noi che facciamo questo tipo di allevamento biologico, il mio è certificato da 25 anni, nel rispetto della Natura. Lo facciamo perché siamo consapevoli che il latte,  così come il formaggio, è quello che gli animali riportano a casa dopo il pascolo. E’ quello che mangiano. Gli animali riportano nella stalla gli antiossidanti delle erbe che mangiano e che, come un miracolo, trasformano in latte: la madre di tutti gli alimenti! Anche noi siamo quello che mangiamo! (citando Feuerbach en passant), ma le pecore sono più generose e ci restituiscono un alimento fondamentale e salubre.

Di fronte a Gregorio mi sento più piccola che mai e non solo per la statura fisica, ma  per lo spessore culturale e umano commovente. Sono di fronte ad un gigante, mi fa pensare all’Odissea, ai miti, alle leggende, a personaggi biblici, ai racconti senza tempo.  Potrebbe essere lui quel pastore arabo che 8000 anni fa, attraversando il deserto con il latte in una sacca fatta con lo stomaco essiccato di una pecora, ha visto nascere la cagliata a causa di qualche enzima sopravvissuto all’essiccazione dell’arcaico contenitore che, rivitalizzato dal caldo, ha acidificato il latte e coagulato le sue proteine! Resto impressionata ed affascinata dalla sua figura imponente e buona, sorpresa dal suo linguaggio colto e dalla sua preparazione!

Alla mia domanda successiva: Quando è nata questa tua passione/lavoro. Quando hai cominciato a fare il pastore? Sorride Gregorio e racconta:

Avevo sei anni! Al mio paese, Scanno, erano quasi tutti pastori. Io abitavo in campagna. Pur essendo un piccolo centro di montagna c’erano 20 allevatori  con 13.000 pecore, quando ero ragazzo. Ora ho 56 anni e sono rimaste solo tre aziende di pastori con 3000 capi di bestiame. La mia azienda è a 1600 metri s.l.m. con pascoli che vanno da 1300 a 2200 metri dove porto circa 1500 pecore, 100 capre e 40 mucche difesi e guidati da numerosi cani pastore. E’ un lavoro duro, ma con la mia grande famiglia e circa trenta dipendenti riusciamo a cavarcela.

Dopo aver frequentato la prima elementare, alla chiusura delle scuole noi bambini venivamo portati in montagna e lì restavamo finché non finiva la mungitura, verso la fine di agosto. Perché poi… “Settembre andiamo è tempo di migrare …” le pecore con i pastori riprendevano il cammino lungo “l’erbal fiume silente” per andare a svernare verso il mare.

Ma non era faticoso e triste trascorrere le vacanze isolati, in montagna? 

Allora noi bambini a 1800 metri di altitudine avevamo il compito di spingere le pecore alla “buca” per la mungitura! – Risponde serafico, e continua – Era bello! Mi divertiva correre dietro gli animali.  Ma il momento più  bello era alla sera quando al centro degli stazzi si accendeva il fuoco e tutt’intorno si mangiava,  e sotto il cielo stellato i grandi raccontavano le storie. La notte faceva freddo, a volte anche durante il giorno, quando non c’era il sole, ma si seguiva il ritmo naturale: eravamo noi stessi natura!  L’alba mi svegliava ogni giorno con i suoi colori dopo il buio della notte che un po’ mi faceva paura, fra gli ululati dei lupi e il timore che gli orsi si avvicinassero. Ogni mattina il ritorno della luce mi sembrava un  miracolo e il giorno dipingeva un quadro sempre nuovo, diverso e meraviglioso davanti ai miei occhi.

Le sue parole mi riportano alla memoria un altro pastore- poeta: Gavino Ledda!

Quando hai cominciato a fare anche il formaggio?

A 12 anni ho avuto il permesso di mungere e ho cominciato a fare il formaggio con mio nonno e mia madre. Mio padre era emigrato in Venezuela e rimandava i soldi per mantenere la famiglia e la stalla. Ogni famiglia aveva una piccola stalla e trasformava il latte, appena munto, in formaggio e ricotta, poi passavano i “quaradini” che ritiravano il formaggio, lo portavano in un centro adatto per la salatura e poi lo riportavano in parte alla famiglia di provenienza e in parte lo vendevano, ed era lì il nostro guadagno. Una forma di cooperazione che dava i suoi frutti e aiutava i piccoli produttori a sopravvivere. Poiché era più facile trasportare il formaggio per la vendita, che portare il latte a dorso di mulo. Del resto il formaggio è nato proprio per concentrare tutte le straordinarie proprietà nutritive del latte in un prodotto naturale a lunga conservazione.

Che cosa è cambiato rispetto ad allora?

Quello che mi hanno insegnato mi è rimasto dentro, non so fare altro e in un modo diverso. Mi hanno detto fin da piccolo che il latte è antico quanto l’uomo e che finché ci sarà latte buono , la gente vivrà bene.  “Ricordati di fare e dare qualità, di fare bene” era il motto di mio nonno e della mia famiglia.  Quando è tornato mio padre dal Venezuela abbiamo potuto ingrandire le stalla, ma la filosofia è rimasta la stessa. Una onestà di fondo che apparteneva ad una comunità, non solo a me ed io sono rimasto fedele alla civiltà della mia terra, agli insegnamenti dei miei antenati, a lavorare “come si deve” con il latte di produzione propria, con le pecore portate al pascolo, a fare il formaggio quando il latte profuma di montagna e di prato. Il mio formaggio non chiamo tipico, perché mi sembra riduttivo, ma della tradizione e della cultura millenaria pastorale abruzzese. 

Intanto prima di procedere nell’amabile conversazione, l’intenso profumo dei formaggi di Gregorio Rotolo dell’Azienda Agricola Biologica, tutti lavorati a latte crudo, diventa irresistibile e chiedo di descriverli mentre mi concedo qualche peccato di gola. Parto con la più semplice delle bontà, la ricotta, delicatamente saporita, quasi evanescente, ma l’olfatto e l’occhio mi portano oltre, verso la Ricotta Scorza Nera, di latte di pecora, messa a stagionare per 100 giorni col sale e massaggiata col nostro buon olio di oliva extravergine, – spiega Gregorio –  e così, giorno dopo giorno le muffe prendono colore, la scorza si scurisce, il sapore  prende corpo ed equilibrio. A ragione è stato premiato da Slow Food e alle Olimpiadi del Formaggio! Poi c’è Francesco  un formaggio erborinato con tre tipi di latte: di mucca, di pecora e di capra, con stagionatura minima di 4 mesi, ma senza inoculi di muffe…. Poi ancora una tenera caciotta, intitolata il Formaggio dell’Orsocon latte di mucca e composta di frutti di bosco. All’orso marsicano non far sapere quant’è buona, lui che va così ghiotto di bacche di rosa canina e di uva selvatica!

Fa da contrappunto alla piccola forma un Caciocavallo gigantesco che troneggia nella sua inusuale forma cilindrica e dal considerevole peso che va dagli 8 ai 25 Kg.,  risultato di tre tipi di latte e stagionato almeno un anno e mezzo! Superbo alla vista e al palato! Non da meno sono il Caciocavallo in Barrique di latte di vacca pezzata rossa che dopo 2 anni di stagionatura si ritira in cantina, come un vino di pregio, e si “affina” in barrique di rovere con l’aggiunta di vino e crusca di grano. E per finire il Gregoriano che esprime tutta la forza morale e la cultura densa di valori e di sapori del personaggio da cui prende il nome: il pastore Gregorio, che rimanda a una delle anime più luminose del Medioevo: papa e santo! Si sente il canto gregoriano quando questo formaggio si scioglie in bocca ed esprime in perfetta armonia una sinfonia di  profumi e immagini montane sconfinati.  Come non chiamarlo “Magno”? 

Dopo questa ri-creazione di gusto torniamo ad approfondire la conoscenza del nostro pastore, o come preferisce definirsi: pecoraio e casaro.

Mi viene da chiedere: ma come è possibile che con lo stesso latte si possano fare tanti tipi diversi di formaggio e come mai noi in Italia abbiamo una varietà straordinaria da non avere pari nel mondo?

Nella mia azienda abbiamo 20 tipi diversi di formaggio, nel Centro Sud circa 400  formaggi diversi, la pasta filata nasce in questa parte del mondo! Che dire? Siamo sicuramente un popolo speciale! Afferma con un pizzico di orgoglio il nostro pastore Doc! –  Da noi si dice: “i carabinieri a due a due, la terra a palmo a palmo”. L’Italia ha una tale varietà di terreni, paesaggi, biodiversità, che non ha eguali. Basta spostarsi di un palmo e cambia tutto. Forme, colori, profumi, sapori, emozioni! La straordinaria bellezza dell’Italia, il suo clima, il paesaggio, hanno attratto sempre gli intrepidi conquistatori e siamo stati invasi da tutte le culture del Mediterraneo. Siamo il risultato di una varietà di popoli. Abbiamo acquisito geneticamente civiltà diverse e quella creatività necessaria ad affrontare situazioni in continuo divenire e minacce di tutti i tipi. Ma anche la miseria e la fame hanno contribuito a fare di necessità virtù, o come si dice da noi: ”La fame fa uscire il lupo dalla tana”. Nel bene e nel male ci portiamo dietro una storia complessa, spesso contraddittoria, difficile da governare, ma che ci continua a regalare un patrimonio immenso di bontà e qualità.

Alcuni anni fa mi è capitato di far parte con Nunzio Marcelli di un Progetto europeo cofinanziato dalla Regione Abruzzo di “Enduring Cheese” per portare l’esperienza e il sapere  della nostra tradizione pastorale millenaria in Afghanistan e insegnare la tecnica della stagionatura del formaggio agli afgani che conoscevano solo 2 modi di conservare il latte: feta e yogurt. 

Avrai dovuto comunque apportare delle innovazioni nella tua Azienda. Come si è sviluppata la tua attività nel tempo per rispondere  alle nuove esigenze dei consumatori?

Certamente abbiamo dovuto adeguarci anche alle norme igieniche, attrezzarci per attenerci scrupolosamente alla normativa vigente. Amare e restare fedeli alla propria cultura, custodire la propria identità e le tradizioni non vuol dire tornare all’età della pietra, ma prendere il meglio del passato e il meglio del progresso del nostro tempo.

Sagge parole! ma in un’epoca di omologazione, di grande distribuzione, di allevamenti intensivi, come può resistere e sopravvivere una  azienda così piccola, con prodotti così di nicchia, di estrema qualità dal valore quasi mistico? Come fai per far conoscere e vendere i tuoi formaggi?

Gregorio non si scompone e con tono bonario e fare tranquillo risponde: – Sono grande abbastanza, come si vede, per impormi e a dispetto delle mode passeggere far conoscere la mia filosofia di vita ancor prima che i miei formaggi. Anche se nessuno aiuta il lavoro artigianale delle piccole realtà anche un po’ sperdute. Bisogna darsi da fare, occorre confrontarsi col mercato esterno, incontrare e conoscere chi ha sposato la causa del rispetto della salute dell’uomo e del pianeta, creare sinergia con chi è serio e onesto, con chi custodisce con passione la migliore tradizione casearia italiana, e fa prodotti di qualità nel  rispetto della Natura. Io lavoro molto e continuo a seguire il ciclo naturale: mi alzo sempre all’alba, spesso anche prima che sorga il sole,  con i miei pastori e collaboratori svolgo tutte le mansioni di routine,  ma poi, mi faccio anche 100 mila chilometri all’anno per partecipare alle fiere più importanti del settore, per far conoscere, promuovere  e far assaggiare i miei formaggi e con essi l’Abruzzo. Insieme ai miei nipoti siamo presenti, nei limiti del possibile, in tutte le manifestazioni di settore più significative, e tramite richiesta via mail spediamo i nostri formaggi su tutto il territorio nazionale. Si dovrebbe fare con il formaggio italiano quello che si fa col vino e far sapere che il formaggio si fa col latte!

E’ un piacere ascoltarlo. E a proposito dei suoi “viaggi di lavoro” ci racconta anche qualche aneddoto.

Mi è capitato qualche anno fa a Milano nel corso della manifestazione “Fa’ la Cosa Giusta” , la più grande Fiera italiana che parla di biologico, di avere di fronte uno stand di prodotti vegani che in bella mostra avevano e vendevano formaggi. Incuriosito mi sono chiesto: ma che razza di formaggio propongono, se sono vegani? Chiedo di assaggiarlo;  sapeva di formaggio! Com’è possibile, mi chiedo, come è fatto? Risposta: con latte di soia. Già, ma che cosa gli dà il sapore di formaggio? Sicuramente qualche goccia di chimica? E poi non è una frode chiamare latte l’acqua con un po’ di farina di soia? Come si può permettere questo? Senza parlare del  terrorismo di certi fanatismi che sparano a zero sul latte e i suoi derivati! Quante bugie e falsi miti! Ma questo è un altro discorso!

Solo quando disprezzano il latte, Gregorio si inalbera un po’, ma poi ritrova il sorriso quando gli chiediamo se conosce rimedi antichi e ricette che contemplano il latte, legati alla tradizione  del suo paese.

Noi continuiamo a curare in modo efficace i disturbi intestinali, come gli antichi, con il siero del latte e le infiammazioni con la ricotta. Al mio paese la sera della vigilia della festa di Sant’Antonio Abate,  si prepara un grande fuoco per bruciare tutti i cestini di vimini utilizzati durante l’anno per ricotte e formaggi  e come rito propiziatorio,  il giorno proprio della festa, il 17 gennaio in onore del santo in un pentolone di circa 5 quintali si mette a cuocere  grasso di maiale, con tanta ricotta salata e pasta fatta a mano con solo acqua e farina. Cibo rituale e solidale che viene distribuito a tutto il paese dando la precedenza ai più poveri!

Per salvaguardare il futuro bisogna ripartire da parole di verità e da prodotti sani e buoni. Non lo diciamo solo noi, lo grida la Natura, lo reclama la Terra e ce lo ricordano personaggi come Gregorio.

Ai familiari di Gregorio Rotolo giungano le condoglianze della redazione di Gustoh24. Foto di Nicola Zinni.