Mercato da 1.500 miliardi di dollari: il mercato retail e degli alcolici vale 10 volte quello europeo, offrendo nuove opportunità di crescita e internazionalizzazione per le aziende italiane
Food Made in Italy e mercato americano. Un matrimonio che potrebbe scrivere una nuova pagina dell’industria agroalimentare italiana. Quello a stelle e strisce per le imprese italiane è un comparto, sommando retail e alcolici, che vale complessivamente 1.5000 miliardi di dollari. Dieci volte quello europeo, che non arriva a 150 miliardi. Un mercato dunque enorme, anche se complesso e difficile da aggredire. Ma “il sogno americano” per le imprese italiane è più che possibile.
Se ne è discusso a Cibus, in occasione del convegno USA4 Cibus: le opportunità per le aziende italiane di investire negli Stati Uniti nell’epoca dell’Inflation Reduction Act, realizzato in collaborazione con American Chamber of Commerce in Italy, moderato dalla giornalista di Class CNBC Mariavittoria Zaglio, che ha visto l’intervento di importanti brand quali Auricchio, Levoni, Rigamonti e la partecipazione dell’Associazione Centromarca.
“Per continuare a crescere – ha affermato Antonio Cellie, Amministratore delegato di Fiere di Parma – dobbiamo trovare modelli di internazionalizzazione più rilevanti. Negli Stati Uniti le opportunità sono offerte non solo dai grandi player della grande distribuzione, ma anche a livello locale c’è un interessantissimo 14% di operatori, che da soli valgono più del mercato italiano. Inoltre alcuni trend, che in Europa si sono fermati, oltreoceano continuano a crescere, come l’organic, trainato dalla Generazione Z e dai millennial che chiedono di consumare meno e sempre meglio”.
Un mercato che diversi importanti brand italiani hanno cominciato ad affrontare con successo. È il caso di Auricchio, che già nel 1977 aveva fondato Auricchio Cheese Corporation, ramo di azienda poi ceduto tra il 1992-93, ma che dal 2011 è tornata a puntare con interesse sul mercato USA, tagliando e confezionando i formaggi nel New Jersey. “L’ America ci mancava – ha raccontato il Presidente Antonio Auricchio – siamo presenti in 60 Paesi, ma gli Stati Uniti sono il nostro cuore, una nazione molto importante, dove il business continua a crescere. Oggi nel New Jersey lavorano le nostre persone, che attuano una selezione durissima, perché dobbiamo produrre eccellenze e per farlo dobbiamo realizzare un prodotto distintivo, affinché tutto il mondo lo apprezzi. Bisogna avere coraggio, ma abbiamo fatto capire che italiani hanno la capacità di entrare nel mercato americano”.
Levoni ha prima approcciato il mercato americano attraverso un importatore, cambiando successivamente strategia, per migliorare la penetrazione sul mercato. “Avevamo molti clienti potenziali, che volevano vendere il nostro prodotto – spiega il Presidente Antonio Levoni – ma non potevano perché il nostro distributore era un loro competitor”. Così l’azienda ha deciso di allargarsi anche al retail, costruendo uno stabilimento da 3.500 metri quadri in New Jersey, con linea di affettamento. “Per noi è un canale completamente nuovo, ma aprire una sede direttamente negli Stati Uniti ha fatto la differenza”.
Anche Rigamonti ha approcciato il mercato americano con una duplice strategia. “Produciamo prevalentemente bresaola – spiega Claudio Palladi, Amministratore Delegato di Rigamonti – che non è un prodotto commercializzabile negli Stati Uniti. Così per iniziare a lavorare abbiamo prima acquisito marchi italiani per esportare prodotti e successivamente avviato l’attività per costruire fabbrica”. Il risultato è una stabilmente con tecnologia italiana nel Missouri. “Una scommessa in corso, con i primi dati che non sono incoraggianti, ma di più”.
Rigamonti, come ha ricordato l’AD, è stata agevolata nell’apertura dell’impianto grazie a una stretta collaborazione con lo stato del Missouri. E del resto sia a livello locale che federale gli Stati Uniti offrono una serie di incentivi e occasioni di business, come ha sottolineato Caroline Chung, Principal Commercial Officer U.S. Consulate General Milan. “Nessun altro cibo – ha affermato – influenza la cultura in America e di tutto il mondo come quello italiano. Gli italiani insegnano a trattare il food con rispetto, ad apprezzare tutti i processi di preparazione, a scegliere gli ingredienti con cura. L’industria alimentare italiana ha successo globale grazie alla qualità dei prodotti e alla fama che si è giustamente guadagnata”.
Le occasioni di business sono legate all’Inflaction Reduction Act voluto dal Presidente degli Stati Uniti Joe Biden. A disposizione delle imprese, anche straniere, ci sono ingenti crediti fiscali per localizzare progetti legati all’energia pulita, che interessa anche il mondo agroalimentare, che rappresenta il 10% emissioni serre degli USA.
Il prossimo giugno inoltre è disponibile il programma Selected USA, per agevolare gli investimenti che creano posti di lavoro di qualsiasi tipo e dimensione, per tutte quelle aziende che vogliono investire o espandere i loro investimenti.
È dunque un’America più che possibile per le imprese italiane, ma come ha sottolineato Vittorio Cino, Direttore Generale di Centromarca, “occorre alzare il livello medio di professionalizzazione, nel marketing come nella comunicazione, a livello internazionale, senza affidarsi solo alla bravura del singolo imprenditore. Ci sono opportunità di crescita, ma abbiamo bisogno di competenze, formazione e puntuali analisi dei dati. Sono ottimista, perché se saremo capaci di completare quei pezzi che ci mancano, possiamo diventare il primo Paese esportatore alimentare negli USA”.
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