Il vino italiano come sta? Malato immaginario o influenza stagionale che può sparire o diventare pandemica? Niente allarmi! Niente terrorismo. Ma occorre… correre urgentemente ai ripari.

Con queste parole accorate ma di certamente di vero e proprio pre-allarme  Giampietro Comolli, presidente Ovse-Osservatorio Economico Vini e Spumanti, struttura indipendente fondata nel 1991 all’Università Cattolica di Piacenza, mette nero su bianco questa riflessione.

Prendo come esempio il mio territorio, il piacentino, dove sono nato, dove ho iniziato a fare il vino, dove mi sono attrezzato culturalmente e professionalmente, da ricercatore in Università Cattolica alla Coldiretti, dalla Confagricoltura alla Enoteca Regionale fino a girare con soddisfazione da un consorzio di tutela all’atro con parentesi per grandi aziende del vino.

Colli Piacentini come denominazione e consorzio nascono nel 1986, innovazione delle antiche 3 doc (estate 1967, fra le prime) per tre vini separati: Gutturnio dei Colli Piacentini, Trebbianino val Trebbia, Monterosso val d’Arda. Rappresentavano solo il 6/8% di tutta la produzione vinicola, circa 190.000 ettolitri l’anno. La nuova Colli Piacentini si componeva di 18 denominazioni, con 30 sottotipologie: una abbondanza necessaria e voluta per aumentare aggregazione, più produzione qualificata a fronte di 6000 ettari vitati. Fui un convinto fautore e proponente (compreso l’allargamento delle sottozone zona, ma solo in collina e montagna) perchè la quota Doc doveva crescere anche con controlli consortili. Le 30 ”specifiche” fra frizzanti, spumanti, tranquilli, passiti, riserve ecc… si istituirono per soddisfare tutti i produttori e andare incontro a tutte le esigenze dei consumatori…che all’epoca erano molto statici, fissi, fedeli. Restai direttore del consorzio fino al 1994 con 280.000 ettolitri di produzione e il 45% di Doc: lasciai un testamento scritto che in sintesi indicava in 10-15 anni al massimo la vita della Doc allargata “ a cappello”, eliminando vini non apprezzati dal mercato o doppioni non indentitari, con massimo 4/5 etichette (vini) fra Docg e Doc, massimo 2 etichette Igt. Purtroppo fino ad oggi (2024) sono state fatte modifiche come foglie di fico…più per non perdere consumatori, più commerciali, più aperte ad ogni richiesta “dell’offerta”. Con i piccoli produttori fuori consorzio o emarginati per la dirompente presenza delle cantine sociali: fondamentali per altri scopi, non come identità e immagine nel momento che il consumatore cresceva in maturità e diffusione nuovi mercati.

Oggi il disciplinare Doc Colli Piacentini sembra sia in fase di modifica, con interventi di professori università e di sommelier! Intanto sono passati 30 anni.  Lasciare una doc Gutturnio, stessa denominazione, con 5 tipologie diverse non ha aiutato a creare una identità-identitaria vino-distretto che negli ultimi 20 anni ha aiutato tanto i vini italiani. Non puntare a Docg, non avere l’erga omnes, non avere addetti ai lavori autorevoli fra l’esperienza, la conoscenza, la diplomazia….è stato un errore grave.  Oggi i tempi e i luoghi impongono non più solo un adeguamento dei disciplinari di produzione (ottimo inizio però) ma un nuovo tiro e bersaglio più orientato ai parametri della “domanda” e meno offerta. Dopo Piacenza, nella mia esperienza ho sempre puntato a un territorio=un vino, quello che feci a Bolgheri, Gavi, Franciacorta, Valdobbiadene, Prosecco. 

Sacrifici? Scelte? Difficoltà? Rinunce? Abbandoni? Certamente bisognerà fare tutti qualche passo indietro, un po di lacrime, altrimenti la viticoltura piacentina scenderà per forza, per abbandono sotto i 2000 ettari con danni diffusi su tutto il distretto, soprattutto per le grandi cantine sociali e vinificatori. Ma anche le 60 piccole imprese, se non disponibili e concentrate per creare imprese più grandi, devono avere una aggregazione di mezzi, obiettivi, progetti. Il futuro non è fatto di vivacchiamento, di solo online e vendita diretta, certamente aiutano, come anche il mercato Fivi, e l’horeca di prossimità. Ma “ il marchio” cresce e si fa grande se esce dai confini, con tutti i costi necessari.

Piacenza ha una tradizione antichissima (etrusca e romana) di fini frizzanti effervescenti, ma non sono icone distrettuali, diventano indispensabili “sul territorio” di produzione. Quindi vanno tenuti, ma limitati, meglio identificati, ben classificati con prezzo e qualità. Certamente la stessa etichetta non può essere bianco e rosso. La tradizione locale è fatta anche di vini da meditazione, assiti, per esempio la grande produzioni di vini per la Santa Messa, ma sono medaglie di nicchia che non devono confondere l’identità e soprattutto la domanda. Una domanda sempre più composta da esperti e da neofiti. Quindi entrambi da soddisfare…ma non 100 consumatori diversi. Un mercato sempre più binario, paese per paese, con differenze che si devono apprezzare e riconoscere nell’etichetta, non dentro la tipologia del vino.

L’esempio di Montalcino o Valpolicella resta vincente perchè soddisfa due grandi fasce di consumatore: il premium e il primo prezzo. Il vino oggi va soprattutto venduto, deve avere estimatori, deve avere una domanda… l’offerta conta meno….anzi dovrà cambiare regime, modello, sistema, norme proprio alla luce dei cambi climatici, ambiente, generazioni che non bevono vino, giovani figli degli imprenditori non più abili nel vendere, costi commerciali alle stelle. Spero e mi auguro che oggi – a Piacenza – si pensi a 2 sole Docg. Inoltre la denominazione Gutturnio deve essere autonomo, secondo tradizione, rispetto della storia……che è prova di cultura, di identità, di forza. Eppoi certo 2 grandi vini “tranquilli”, espressione di vitigni autoctoni e votati, certamente Docg.

Ho sempre detto che la “Malvasia Candia” è una esclusiva piacentina (600-800 ettari), più grande d’Italia, che non si deve perdere perchè può esprimere un valido antagonismo anche a certi vini “alpini” e continentali dalla aromaticità di vigna e non di cantina! L’ Ortrugo che fine ha fatto? Il Vin Santo non è partito: i numeri sono belli di 40 anni fa!

Esiste una Igt forte che Piacenza può far diventare propria per certi vitigni come “Emilia” a cui affiancherei una sola altra Igt come potenziale futura Doc e Docg da costruire in base al mercato. Eppoi – purtroppo- la legge impone i diritti acquisiti se non c’è il 100% dei consensi assembleari esposti quindi una Doc Colli Piacentini dovrà essere mantenuta per tutte le sottomenzioni. Chiosa: la provincia di Piacenza ha nomi storici, toponomastici, topografici eccezionali e ben noti….e pubblicizzati che potrebbero essere ispirazione per una o due Docg autonome. 

Non tutte le etichette sono in grado di sostenere aumenti annuali di prezzo al consumo del 2-4 % senza perdere acquirenti e contratti. Anche l’estero segna il passo:  lo Champagne è sotto 300 milioni di bottiglie e nessuno l’avrebbe scommesso, soprattutto con un Prosecco Docg-Doc passato in 25 anni da 100 milioni a 750 milioni di bottiglie vendute. Un nuovo disciplinare di produzione va meditato e non solo negli aspetti produttivi, ma soprattutto come supporto tecnico-conoscitivo per dare un taglio netto con il vecchio passato (servito a tante aziende) e puntare su un futuro ….molto molto diverso da quello che già oggi appare. Vedrei bene un ritorno della partecipazione degli enti locali di territorio come partner della tutela ambientale, di co-definizione dei luoghi protetti, interventi collegati al suolo e – importantissimo – sulla collocazione e impiantistica delle vigne, sulla genetica e resilienza dei vitigni.

Anche perchè una strada futuribile non è detto che sia la denominazione geografica (Doc o Docg) ma possa essere più facile e di successo il nome del vitigno più noto a molti e nel mondo per antonomasia. Certo Piacenza non è Bolgheri o Franciacorta …ma può e deve dire la sua per la posizione e inclinazione geografica anche verso nord. Speriamo anche che il Consorzio di Tutela Piacentino attivi  “ravvedimenti operosi” anche sul nome di vitigni autoctoni sconosciuti con una campagna forte di comunicazione. E’ il momento obbligato degli investimenti e non essere soggetti passivi.    

OVSE-CEVES

L’osservatorio economico-statistico sui vini effervescenti (ex Ones) e il centro ricerche analisi cibo e vino sono stati fondati nel 1991 presso la Facoltà di Agraria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza dal prof Mario Fregoni, Antonio Niederbaker, Zeffiro Bocci, Giampietro Comolli. Ovse ha contribuito a stendere oltre 200 tesi sperimentali italiane e straniere sui vini effervescenti, è titolare dei primi G.Comolli come borsa di laurea magistralis sperimentale, G.Conforto e F.Scacchi come riconoscimento a imprese e vini. Indaga su consumi, mercati e tendenze da 30 anni in Italia e all’estero. Osservatorio Accademico Indipendente  al servizio di enti e imprese per analizzare e anticipare dinamiche di mercati, canali, settori e business. Svolge 4 sondaggi fissi l‘anno. Si avvale di un panel nazionale di 854 consumatori finali, di 59 testimonial-operatori sul mercato in 32 paesi esteri tramite Linkedin updates group. E’ stato il primo osservatorio economico statistico vini nato in Italia.