Il mondo è bello perché è Mario n. 3

Mario Bolivar Pennelli, palchista professionista, premia il maestro artigiano Giuseppe Fasano

Quando si tratta di cibo, le affermazioni che sento emettere dalla pancia degli italiani (è il caso di dirlo) sono troppo approssimate e facilone.

Allora ho pensato di rispondere loro con altrettanta approssimazione e faciloneria: signori, se avessimo sbarrato le nostre mura culturali quando gli Achei ci insegnarono ad addomesticare quell’essere magico che è l’Ulivo, l’olio sarebbe così parte integrante della nostra dieta?

E se avessimo chiuso le dogane atlantiche ai prodotti d’oltreoceano portatici dai primi scopritori d’America, che ne sarebbe ora di noi? Conosceremmo il cioccolato?

Patate, riso e cozze (foto di Puglia.com)

E, da Barese, concedetemi una distopica ed anacronistica preoccupazione: se tempo fa le stesse visioni miopi e stucchevolmente autarchiche dei tempi moderni fossero state applicate dalle mie parti, la mitologica ‘tiella di patate, riso e cozze’ esisterebbe? La troverei sulla tavola di nonna?

Mario Bolivar pennelli con Nuncia la mitica signora delle orecchiette

Tutto questo per dire che: alzare muri, pensare di essere depositari unici di qualcosa (nel nostro caso la qualità agroalimentare) è semplicemente ridicolo perché il cibo come tutte le conoscenze si muove sulle gambe degli esseri umani che si muovono dall’alba dei tempi, e che rilasciano informazioni, le quali evolvono ulteriormente in base all’incontro con le popolazioni preesistenti, alle cause fisiche, chimiche, meteorologiche, paesaggistiche, che insistono sul territorio, e ad una infinità di altre cause legate ai corsi e ricorsi della storia. Si, anche la vite, originaria del Caucaso, è giunta qui relativamente poco tempo fa, ad opera di qualche invasore che voleva costringerci a nutrirci di cavallet… ehm di grappoli d’uva. Per fortuna in quel caso non ci chiudemmo stupidamente, avvitandoci in noi stessi come dei corridori che percorrono inconsapevolmente la scala di Penrose, ma ci aprimmo, rischiammo, accettammo, inglobammo e… guarda un po’, crescemmo.

La scala di Penrose

Insomma, come sosteneva Gualtiero Marchesi: in cucina l’unica costante deve essere il cambiamento.

Il Maestro Gualtiero Marchesi

Provo un certa nausea quando su palchi prestigiosi vedo gente che pur non masticando i nostri argomenti non fa altro che incensarsi e lodare il nostro settore con il solo fine di raccattare facilissimi consensi. Per fortuna il nostro Paese non è mandato avanti da quei pochi palchisti professionisti ma da tanti, tantissimi, piccoli eroi solitari. Eroi che  presidiano il territorio e nel silenzio e nell’indifferenza, sono la vera voce dello stesso, sono il suo vero valore aggiunto, il vero argine alla dissoluzione. Dissoluzione che se verrà non sarà certo per l’incontro con l’altro, con il diverso o il forestiero ma sarà per l’indifferenza della collettività. Lunga vita ai tanti, tantissimi piccolissimi eroi che fanno l’Italia. Magari non avranno palchi prestigiosi dai quali parlare, magari il loro microfono saranno le mani messe ai lati della bocca, magari non avranno nessuno ad applaudirli se non il silenzio dei campi, delle loro botteghe o delle onde che si infrangono contro le assi delle loro barche.  Il genio italico è li. In quelle teste ed in quelle mani.

Che dio, il fato o chi per esso, li benedica.

Che dio, il fato o chi per esso sia lodato, per avermi fatto nascere in Italia.

La Stella Michelin fra legge morale e mostruosità (1)

Tra palco e sovranismo alimentare (2)

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