In questa lunga pagina vi racconteremo, (periodicamente) partendo dal ricordo di Francesco Santanera, lo stato della “sanità pubblica al collasso” nel nostro Paese.

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Mi sono sentito sconfitto”. Una lettera apparsa su il Manifesto del 22 agosto 2024

Manifesto 22 agosto 2024 Marcello Pesarini
Intervista avvocato Franchi

Milano 23 maggio 2024 – CLAMOROSA SENTENZA DELLA CORTE DI APPELLO DI MILANO

Una sentenza di 27 pagine

La sanità è malata: la magistratura batte governo e Usl 10 a 0

Parma 21 giugno 2024. Una storica sentenza della Corte d’ Appello di Milano, lunga 27 pagine, stabilisce l’obbligo per le RSA di rimborsare le rette pagate dalle persone affette da Alzheimer e da demenza senile. Condannate l’Azienda di Tutela Salute Milano (ATS) e Regione Lombardia.

PER IL RICOVERATO IN ISTITUTI DI CURA (Rsa) ecco cosa scrive la sentenza: “per i soggetti dal morbo di Alzheimer ricoverati in istituto di cura è qualificabile come attività sanitaria, quindi di competenza del Servizio sanitario nazionale”.

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Gazzetta di Parma 26 giugno 2024

Giorgio Parisi

La sanità è malata serve subito una cura

di Mario Abis

Nonostante denunce e appelli, il settore si orienta verso un modello privatistico a scapito degli investimenti nelle strutture pubbliche. E un italiano su cinque abbandona i trattamenti per i costi insostenibili

CONVERGENZA – Prima Comunicazione, Aprile-Maggio 2024

Qualche settimana fa è stata pubblicata una lettera firmata da scienziati e ricercatori (Ottavio Davini, Enrico Alleva, Luca De Fiore, Paola Di Giulio, Nerina Dirindin, Silvio Garattini, Franco Locatelli, Francesco Longo, Lucio Luzzatto, Alberto Mantovani, Giorgio Parisi, Carlo Patrono, Francesco Perrone, Paolo Vineis) in cui si denunciavano preoccupazioni per la situazione sanitaria del nostro Paese. Un fatto in sé grave (chi firma ha responsabilità e competenze sui temi della salute e della scienza), ma ancora più grave è che questa lettera sia passata quasi inosservata. Questo silenzio, insieme ad altri, è significativo del fatto che i grandi problemi sociali (un altro è la crescente area della povertà) non vengono seriamente affrontati e discussi. E quello della salute è il problema numero uno per gli italiani. Infatti, dall’Osservatorio Makno di marzo 2024 (su un campione di 2.400 casi) alla domanda “lei di cosa ha paura?”, la risposta, nel 65% dei casi è stata “delle malattie mie o dei miei familiari”; le altre paure sono la guerra (62%), diventare povero (57%), perdere/non trovare lavoro (35%).

La crisi della sanità coinvolge simultaneamente molti elementi:

1) l’inefficienza della struttura organizzativa (attese chilometriche per esami fondamentali per cui il cittadino deve passare al privato o semplicemente rinunciare alla cura);

2) fatiscenza delle strutture fisiche e della funzionalità degli ospedali che sono vecchi mediamente di oltre 60 anni;

3) insufficienza del personale medico che, pur mantenendo un buon livello di qualità formativa, tende, per opportunità di guadagno e di crescita scientifica, a emigrare;

4) carenza nel personale di supporto, di servizio e infermieristico, sia dal punto di vista della copertura dei posti sia della preparazione tecnica che, con il diffondersi delle malattie croniche, diventa sempre più complessa.

Mali non nuovi, ma che hanno trovato un’accelerazione dopo il Covid e dopo varie pratiche e annunci di tagli da parte del governo e delle regioni. Un passaggio che diventa allarme da parte di molti ‘pezzi’ sociali perché sottende da una parte l’orientarsi della sanità verso un modello privatistico (vedi la Lombardia) a discapito degli investimenti nella struttura pubblica, dall’altra la sostanziale cancellazione di una politica di welfare a fronte di una popolazione anziana che diventa sempre più malata cronica (oltre il 35%) e che quindi ha bisogno di stabilità e sostegno nei servizi. Il tutto procede a macchie di leopardo con regioni a velocità diverse – ovviamente l’Emilia non è la Calabria – ma la struttura regionale che alimenta le differenze aumenta in generale la percezione che ci sono forti diseguaglianze sociali nella sanità; più del 70% pensa che la sanità sia una cosa per privilegiati.

L’ultimo rapporto Censis segnala che oltre il 20% degli italiani abbandona le cure mediche per i costi e i tempi insopportabili. La rinuncia alla cura in una società vecchia sempre più malata è un dato che va oltre l’aspetto medico sanitario: indica un malessere, un fatalismo che genera depressione e che toglie energia sociale. Al di là di quello che potranno nella propria autonomia fare le regioni, questo cedimento del nostro welfare è preoccupante perché crea effetti eco (e già la speranza di vita è calata negli ultimi anni dello 0,2%) in tutto il sistema sociale. Se si correla questa tendenza, che si accentua nella popolazione oltre i 60 anni, con quella dei giovani fra i 18 e i 24 che hanno per quasi il 20% problemi di salute, soprattutto psichiatrica, non curati (vedi anche la recente denuncia della Società italiana di psichiatria) si comprende che questo malessere nella salute è una vera e propria tenaglia. Un paradosso per un sistema sanitario nazionale che per decenni è stato considerato, insieme a quello francese, il migliore al mondo.

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Oggi Giornata Mondiale della Salute: in Italia la malasanità impera

Ogni 7 aprile si celebra in tutto il mondo la Giornata della Salute, istituita il 7 aprile del 1948 da una risoluzione dell’OMS –Organizzazione mondiale della Sanità. La Giornata nasce con lo scopo di riflettere e superare il disequilibrio nell’assistenza sanitaria e nel diritto alle cure che ancora esiste tra i Paesi del mondo.

Il tema dell’edizione 2024, che è la 76esima, è: “La mia salute, un mio diritto”.

Ieri sera, nella puntata “Che sarà Rai 3”, la brava Serena Bortona, ha intervistato lo scienziato Silvio Garattini che ha affermato: “la medicina è diventato un grande mercato“. Una gravissima ma reale constatazione! In altre parole questo significa che molti italiani mettono mano al portafoglio per ottenere dalla sanità privata, in tempi accettabili, le prestazioni che quella pubblica offre talora dopo mesi, con punte di un anno (a noi non piace l’invasato Mario Giordano che su Rete 4 si inchina davanti alla premier Meloni ma poi è tace sul tema sanità e solo nelle altre puntate si scandalizza e dice la verità).

Purtroppo la verità è questa: coloro che non ce la fanno, perchè hanno un basso reddito e non dispongono di una assicurazione, chiedono prestiti oppure tirano avanti e rinunciano addirittura alle cure, finchè possono. Nel 2023, il 42% dei pazienti con redditi più bassi, fino a 15 mila euro, è stato costretto a procrastinare o a rinunciare alle cure sanitarie perché nell’impossibilità di accedere al Servizio sanitario nazionale e non potendo sostenere i costi della sanità a pagamento. Lo ha evidenziato il 21/mo Rapporto ‘Ospedali & Salute‘, promosso da Aiop (Associazione Italiana ospedalità privata) e realizzato in collaborazione con il Censis.

Il grido degli scienziati: “Così si torna indietro”

Giorni fa 14 scienziati ed esperti di sanità (leggere qui sotto il loro appello) hanno lanciato un appello dove in sostanza affermano che la sanità a pagamento è ormai diventata un fatto reale perchè le “urgenze” nel pubblico rimangono tali solo sulla carta.

Ma non ci sono solo i 14 scienziati a dire che “non possiamo fare a meno del servizio sanitaria  pubblico”. Oggi i dati dimostrano quanto sia in aumento,  causa “arretramento”  di alcuni indicatori di salute, “le diseguaglianze regionali e sociali”. La vera emergenza è adeguare il finanziamento del SSN che funziona non solo tutela la salute ma contribuisce anche alla “coesione sociale”.

La Corte dei conti: “ad ogni italiano metà risorse dei tedeschi”

Ma all’allarme degli esperti si è aggiunto in questa settimana anche l’analisi della Corte dei conti che ha detto che la dote di ogni italiano per la sanità pubblica è la metà di quella disponibile per un tedesco. Nei numeri l’analisi dei magistrati contabili scrivono che a parità di potere d’acquisto la spesa sanitaria pro capite risulta meno della metà di quella della Germania, mentre il nostro 6,8% sul Pil è superiore di un decimo di punti sul Portogallo, è inferiore di ben 4,1 punti alla spesa tedesca, di 3,5 in raffronto a quella francese e di mezzo punto sotto la Spagna.

Gustoha24 si occupa di informazioni sul cibo sano e sostenibile ma in questa giornata vogliamo ricordare l’importanza vitale di un sistema sanitario pubblico capace di presiedere un territorio nei suoi bisogni e nelle sue fragilità. Per questo pensiamo che sia  urgente che tutti i soggetti interessati si diano una mossa: governo, ministero, regioni.

Putroppo, nei piani sanitari che possiamo leggere, c’è poca o nessuna traccia di inversione di tendenza. Ma non molleremo!

Donato Troiano

4 aprile 2024

Sanità in crisi, l’appello di 14 scienziati

Il premio Nobel per la Fisica, Giorgio Parisi 

Il Nobel Parisi: «Rischiamo di finire come gli Stati Uniti»

«Il Servizio Sanitario Nazionale sta arretrando. Serve un piano straordinario di finanziamento»

«È necessario un piano straordinario di finanziamento del Servizio sanitario nazionale» perché «la spesa sanitaria in Italia non è grado di assicurare compiutamente il rispetto dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) e l’autonomia differenziata rischia di ampliare il divario tra Nord e Sud d’Italia in termini di diritto alla salute». È un appello accorato quello sottoscritto da alcune note personalità della scienza per mettere in salvo il futuro di «una delle più grandi conquiste della Repubblica», quel «Servizio sanitario nazionale (Ssn), che ha contribuito significativamente a migliorare prospettiva e qualità di vita e a ridurre le disuguaglianze socioeconomiche».

A firmare il testo 14 scienziati: Ottavio Davini, Enrico Alleva, Luca De Fiore, Paola Di Giulio, Nerina Dirindin, Silvio Garattini, Franco Locatelli, Francesco Longo, Lucio Luzzatto, Alberto Mantovani, il Nobel Giorgio Parisi, Carlo Patrono, Francesco Perrone e Paolo Vineis. Un consesso autorevole che unisce differenti competenze attorno alla consapevolezza che occorre scuotere la politica e l’opinione pubblica su un valore come il Ssn che forse stiamo dando per scontato nei suoi principi di universalità e gratuità ma che è forte rischio.

Come e perché lo chiariscono gli scienziati ricordando che «dal 1978, data della sua fondazione, al 2019 il Ssn in Italia ha contribuito a produrre il più marcato incremento dell’aspettativa di vita (da 73,8 a 83,6 anni) tra i Paesi ad alto reddito». Una situazione che però potrebbe non avere un futuro altrettanto significativo, anzi. Oggi infatti «i dati dimostrano che il sistema è in crisi: arretramento di alcuni indicatori di salute, difficoltà crescente di accesso ai percorsi di diagnosi e cura, aumento delle diseguaglianze regionali e sociali». A spiegare la crisi secondo i 14 scienziati sono «i costi dell’evoluzione tecnologica, i radicali mutamenti epidemiologici e demografici e le difficoltà della finanza pubblica», tutti fenomeni che «hanno reso fortemente sottofinanziato il Ssn, al quale nel 2025 sarà destinato il 6,2% del Pil (meno di vent’anni fa)», un livello distante dagli «standard dei Paesi europei avanzati (8% del Pil)».

È vero che «il pubblico garantisce ancora a tutti una quota di attività (urgenza, ricoveri per acuzie)» ma «per il resto (visite specialistiche, diagnostica, piccola chirurgia) il pubblico arretra, e i cittadini sono costretti a rinviare gli interventi o indotti a ricorrere al privato». L’analisi degli scienziati qui si fa severa perché «su questa china, oltre che in contrasto con l’articolo 32 della Costituzione, ci spinge verso il modello Usa, terribilmente più oneroso (spesa complessiva più che tripla rispetto all’Italia) e meno efficace (aspettativa di vita inferiore di sei anni)».

Ecco allora perché è «necessario un piano straordinario di finanziamento del Ssn e specifiche risorse devono essere destinate a rimuovere gli squilibri territoriali». Ma non basta aggiungere soldi agli stanziamenti già previsti: «La allocazione di risorse deve essere accompagnata da efficienza nel loro utilizzo e appropriatezza nell’uso a livello diagnostico e terapeutico, in quanto fondamentali per la sostenibilità del sistema». Inoltre «il Ssn deve recuperare il suo ruolo di luogo di ricerca e innovazione al servizio della salute».

Sull’uso delle «nuove risorse» gli scienziati indicano alcune priorità: serve infatti «intervenire in profondità sull’edilizia sanitaria, in un Paese dove due ospedali su tre hanno più di 50 anni, e uno su tre è stato costruito prima del 1940». Ma prima ancora delle strutture, un intelligente investimento del denaro pubblico (e delle attenzioni di una lungimirante politica sanitaria) deve indirizzarsi al «grande patrimonio del Ssn», ovvero «il suo personale: una sofisticata apparecchiatura si installa in un paio d’anni, ma molti di più ne occorrono per disporre di professionisti sanitari competenti, che continuano a formarsi e aggiornarsi lungo tutta la vita lavorativa».

La situazione del personale sanitario è anche più critica di quella delle strutture: «Nell’attuale scenario di crisi del sistema, e di fronte a cittadini/pazienti sempre più insoddisfatti – nota l’appello –, è inevitabile che gli operatori siano sottoposti a una pressione insostenibile che si traduce in una fuga dal pubblico, soprattutto dai luoghi di maggior tensione, come l’area dell’urgenza». Quindi «è evidente che le retribuzioni debbano essere adeguate, ma è indispensabile affrontare temi come la valorizzazione degli operatori, la loro tutela e la garanzia di condizioni di lavoro sostenibili». I dati poi indicano che oggi «particolarmente grave è inoltre la carenza di infermieri (in numero ampiamente inferiore alla media europea)».

L’analisi dei firmatari del testo procede con metodo, dati e argomento: «Da decenni – incalza l’appello – si parla di continuità assistenziale (ospedale-territorio-domicilio e viceversa), ma i progressi in questa direzione sono timidi. Oggi il problema non è più procrastinabile: tra 25 anni quasi due italiani su cinque avranno più di 65 anni (molti di loro affetti da almeno una patologia cronica) e il sistema, già oggi in grave difficoltà, non sarà in grado di assisterli».

Altrettanto importante è una presa di coscienza del rilievo crescente di un altro fronte: «La spesa per la prevenzione – notano gli scienziati – in Italia è da sempre al di sotto di quanto programmato, il che spiega in parte gli insufficienti tassi di adesione ai programmi di screening oncologico che si registrano in quasi tutta Italia». La «cultura della prevenzione (individuale e collettiva)» esige investimenti «in modo strategico», con una vera «consapevolezza delle opportunità ma anche dei limiti della medicina moderna». A parere dei firmatari poi «ancora più evidente è il divario riguardante la prevenzione primaria» come dimostra il fatto che «abbiamo una delle percentuali più alte in Europa di bambini sovrappeso o addirittura obesi, e questo è legato sia a un cambiamento – preoccupante – delle abitudini alimentari sia alla scarsa propensione degli italiani all’attività fisica».

Quindi – è la sintesi di quanto sta a cuore ai promotori di questo grido di allarme – «adeguare il finanziamento del Ssn» è «urgente e indispensabile, perché un Sistema che funziona non solo tutela la salute ma contribuisce anche alla coesione sociale».

Alla voce dei 14 firmatari si aggiunge quella di Walter Ricciardi, docente di Igiene all’Università Cattolica di Romas ed editorialista di Avvenire, a parere del quale «senza finanziamenti non si possono assumere le persone, non si possono remunerare bene, non si possono ristrutturare gli ospedali, non si possono dare prestazioni adeguate».

È vero: «Da solo il finanziamento non basta a tutelare la sanità pubblica, ma ormai siamo arrivati a un livello in cui il finanziamento al nostro sistema sanitario nazionale è simile a quello dei Paesi dell’Est. E questo ci offre un quadro molto problematico». Ricciardi esprime piena condivisione con le tesi dell’appello: «Hanno ragione. Lo indica anche la recente esperienza con il Covid. Non aver imparato la lezione significa non considerare la sanità prioritaria, non dargli adeguati finanziamenti e non gestirla al meglio. E’ quello che purtroppo stiamo facendo. E come abbiamo pagato il prezzo nel 2020, ora non pagheremo lo scotto solo nelle emergenze, ma anche nella normalità, perché senza risorse adeguate non avremo la possibilità di assistere come necessario le persone che ne hanno bisogno».

Dopo Milano il dramma di Parma

Gazzetta di Parma 17 agosto 2023
Gazzetta di Parma 17 agosto 2023

Lo scritto integrale inviato alla Gazzetta di Parma

Parma 16 agosto 2023. La tutela della salute degli anziani cronici non autosufficienti deve diventare la priorità del nostro Paese. Prima la tragedia dell’incendio a Milano ora il tragico rogo nella struttura per persone fragili di “Casa Arianna” in viale Tanara a Parma ripropongono il tema delle strutture per l’assistenza agli anziani mettendone in luce le troppe carenze per non parlare della carenza di personale per copre i turni di lavoro e poi, come mostrano le cicliche indagini dei Nas, in diversi casi ci troviamo di fronte a luoghi inidonei e poco sicuri.

Ha fatto bene la Gazzetta di Parma a dare tanto spazio, con le cronache e le interviste di Michele Ceparano e Chiara Cacciani, al dramma di Parma, che obbliga tutti noi a riaprire diverse questioni inerenti agli anziani ricoverati in queste strutture (Rsa -Residenze sanitarie assistenziali-, case protette o altre strutture analoghe), specie quando, come spesso accade, queste persone siano fragili e malate.

Serve un maggiore controllo sulla gestione, sulla sicurezza e sull’organizzazione del lavoro all’interno di queste strutture, oltre al rispetto del rapporto numerico tra ospiti e operatori” ha detto Silvia Sartori, della segreteria della Fp Cgil Parma alla Gazzetta di Parma (15 agosto 2023). E’ vero, sarà la magistratura ad accertare eventuali responsabilità ma un ruolo lo deve svolgere anche il sindacato, le istituzioni e tutta la società civile.

Alla Magistratura spetta il compito primario di accertare le responsabilità penali ma, in questi giorni di lutto per la città di Parma non possiamo non riflettere che molte scelte, non solo a livello locale ma anche a livello nazionale, sono non solo necessarie ma indispensabili per arrivare ad una vera e propria “svolta” nel settore della sanità e in quello socio-sanitario.

Oggi il quadro della sanità è drammatico: mancano 30mila medici ospedalieri, 70mila infermieri e in 10 anni, tra il 2011 e il 2021, in Italia sono state chiude 125 strutture e molte di queste erano strutture socio-sanitarie per gli anziani malati.

Ecco perchè è bene ricordare che il Servizio sanitario nazionale è obbligato, in base alle leggi vigenti, a curare tutte le persone malate, siano esse giovani o adulte o anziane, colpite da patologie acute o croniche, guaribili o inguaribili, autosufficienti o non autosufficienti.

Purtroppo si va invece in un’altra direzione. La proposta di Pnrr del governo definanzia la voce salute di 15,9 miliardi. In massima parte tolti ai progetti delle cosiddette Case della salute (che passano dalle 1350 previste a 936), insomma a ciò che tutta Italia ha bisogno per avvicinare le cure ai cittadini che ne hanno bisogno e sono costretti a vivere nell’angoscia quotidiana vicino ai loro cari anziani fragili.

Sono milioni in Italia le famiglie che hanno il problema di come gestire i propri anziani in un periodo in cui la durata della vita si allunga. Ma lo Stato non può e non deve avere l’alibi delle risorse economiche insufficienti perchè ci troviamo di fronte ad una richiesta di protezione collettiva: non possiamo essere né complici né vittime di politiche che determinano la morte del Ssn a cominciare dalla tutela degli anziani.

Donato Troiano, responsabile dell’associazione Verdi Ambiente & Società

L’incendio alla Rsa di Milano riapre la questione della sicurezza e dei costi delle Residenze Sanitarie Assistenziali

di Giovanni Franchi, Presidente di Konsumer Emilia Romagna e Donato Troiano, dell’associazione VAS – Verdi Ambiente & Società, sulla Gazzetta di Parma

Gazzetta di Parma domenica 16 luglio 2023

Santanera ci lascia 

Solo ora, in questo fine anno 2022, siamo venuti a conoscenza che Francesco Santanera ci ha lasciati.

Francesco era un GIGANTE. Per un breve periodo siamo stati insieme a lui nella sua lunga battaglia in difesa degli anziani malati non autosufficienti. E’ venuto anche a Parma, alla fine del 1990, a sostenere le battaglie del Comitato familiari ricoverati Iraia e dell’ Associazione Verdi Ambiente & Società in difesa della sanità pubblica e degli anziani malati.

Ma prima di ricordare Francesco Santanera e le sue battaglie non possiamo non sottolineare che oggi ci troviamo di fronte ad in sistema sanitario a pezzi, e a  farne maggiormente le spese sono proprio gli anziani malati.

Alcune righe sulla sanità oggi.

Sul quotidiano “la Repubblica” del 16 ottobre 2022 il direttore Maurizio Molinari ha scritto come “la maggioranza della popolazione non si sente sufficientemente protetta dallo Stato” e aggiunge “Sono milioni le famiglie che hanno difficoltà ad acquistare i farmaci di prima necessità ed hanno ancor più il problema di come gestire i propri anziani, sempre più bisognosi di tutti. Queste famiglie avrebbero bisogno di una Sanità pubblica in grado di occuparsi della salute degli anziani, dei malati gravi e dei più bisognosi anche perché la durata della vita si allunga. Ma lo Stato non ha risorse economiche sufficienti per fronteggiare questa richiesta di protezione collettiva”.

«La sanità è allo sfascio»

 L’agonia della sanità pubblica

«Cara Giorgia, sono una donna e sono una medica…». Inizia così una delle lettere alla Presidente del consiglio lette il 15 dicembre 2022 in piazza Santi Apostoli, a Roma. Nella foto di copertina un momento della manifestazione dei medici a Roma.

Alcune centinaia di medici si sono date appuntamento per protestare contro manovra e governo, ma soprattutto contro 20 anni di smantellamento della sanità pubblica. «SONO MEDICA del pronto soccorso da 15 anni e lo declino orgogliosamente al femminile», continua la lettera, pubblicata in un articolo del Manifesto. La dottoressa racconta di sentirsi umiliata e intimorita dalle minacce e violenze che avvengono quotidianamente nei corridoi degli ospedali italiani, spesso perché di malfunzionamenti e carenze strutturali i pazienti presentano il conto ai camici bianchi. TRA IL 2010 E IL 2020 in Italia sono stati chiusi 111 ospedali e 113 Pronto soccorso, tagliati 37 mila posti letto.

PIERINO DI SILVERIO, segretario nazionale Anaao Assomed afferma durante la protesta romana: «Manifestiamo a favore del sistema sanitario pubblico non tanto perché il governo ascolti, visto che ha avuto modo di ascoltarci fino a oggi, ma perché i cittadini comprendano che, continuando con i disinvestimenti, sono a rischio la salute e le cure nel pubblico. Non possiamo essere né complici né vittime di politiche che determinano la morte del Ssn. La Nota di economia e finanza per il 2025 prevede uno stanziamento sul Pil del 6,1%, la media Ue è dell’11,3%. Dei 2,1miliardi nel 2023, 1,4 è per il caro bollette; 60milioni ai medici a partire dal 2024 e solo ai medici di pronto soccorso, briciole. Non chiediamo un contentino ma di essere messi nelle condizioni di erogare cure».

Francesco Santanera ci lascia

Proprio mentre “bisogna soccorrere la sanità per NON MORIRE” abbiamo appreso che nei mesi scorsi ci ha lasciato un grande amico, Francesco Santanera, storica figura del volontariato torinese e nazionale, difensore appassionato ed indomabile dei diritti degli ultimi, dei più deboli e degli anziani non autosufficienti.

Francesco era nato a Torino nel 1928, nel 1962, assieme a Bianca Guidetti Serra, ha fondato l’Anfaa, di cui è stato presidente fino al 1971. Scrittore di numerosi libri, redattore della rivista «Prospettive assistenziali», è stato un riferimento indimenticabile per tutti coloro impegnati a difendere gli ultimi. Lo vogliamo ricordare su queste pagine pubblicando alcuni suoi scritti e di amici comuni.

Ciao Santanera

E’ difficile dire addio a Francesco Santanera per la sua lunga vita dedicata a difendere le persone più deboli, più esposte all’erosione dei diritti: era questo il suo prossimo.  (da leggere da Sindacalmente QUI)

Santanera presidente dell’Associazione Promozione Sociale  ha scritto una lettera a La Stampa: «Mentre vi sono centinaia di famiglie prive di una abitazione idonea, nello stabile di Torino, lungodora Voghera 134 c’è un appartamento delle Case popolari di 10 vani vuoto da anni. «Nello stesso tempo presso l’Istituto di riposo per la vecchiaia sono inutilizzati da mesi 24 posti letto per anziani non autosufficienti, nonostante che detti malati vengano inviati in strutture situate anche a cento chilometri da Torino, stante la mancanza di circa duemila posti letto nella nostra città».
Uno scritto di Francesco sulla sua rivista

COME MAI È STATA DIMESSA DALL’OSPEDALE MAGGIORE DI PARMA UNA SIGNORA NON AUTOSUFFICIENTE PRIVA DI SOSTEGNI FAMILIARI?

In data 26 giugno 2007 Luigi Giuseppe Villani, Consigliere della Regione Emilia Romagna, ha presentato una interrogazione «sul caso di una donna di 62 anni, che vive sola, la quale (ricoverata la sera di venerdì 8 giugno 2007 all’ospedale Maggiore di Parma, per una delicata frattura in zona pubica dovuta a una caduta) sarebbe stata dimessa (il giorno successivo) con la raccomandazione di rimanere immobile e la prescrizione di iniezioni, nonostante fosse impossibilitata ad essere assistita dai familiari e in condizioni di difficoltà economiche».

Il Consigliere fa sapere che «la notte seguente alla dimissione, sarebbero stati i vicini di casa a prestarle soccorso allertati dalle urla di dolore della donna che, non potendosi muovere, chiedeva aiuto» ed ha chiesto alla Giunta «perché data la situazione, la paziente sia stata dimessa “a poche ore dal ricovero” e se, al momento del congedo, ne siano state adeguatamente accertate le condizioni cliniche e sociali, in modo da disporre l’immediata attivazione del sistema di integrazione socio-sanitaria con servizi idonei a questo particolare caso». Ai quesiti posti dalla interrogazione del Consigliere Villani, il competente Assessorato della Regione Emilia Romagna può dare una risposta anche a noi?

Le iniziative a Parma con Francesco  Santanera

Parma 1990: I diritti negati all’anziano cronico non autosufficiente

VAS Parma – I Diritti Negati e Violati: Carta Rivendicativa

Le nostre rivendicazioni

Il Servizio sanitario nazionale è obbligato, in base alle leggi vigenti, a curare tutte le persone malate, siano esse giovani o adulte o anziane, colpite da patologie acute o croniche, guaribili o inguaribili, autosufficienti o non autosufficienti.

Dunque, la cura delle persone con la malattia di Alzheimer, o con altre forme analoghe, spetta alla sanità.

Sempre in base alle leggi vigenti, i congiunti dei malati non sono obbligati a svolgere le attività di competenza del Servizio sanitario nazionale e, quindi, non hanno alcun obbligo giuridico di sostituirsi alla sanità.

ATTENZIONE – Sotto il profilo giuridico accettare le dimissioni da ospedali e da case di cura private convenzionate di una persona cronica non autosufficiente incapace di programmare il proprio futuro, significa sottrarre volontariamente il paziente dalle competenze del servizio sanitario nazionale e assumere tutte le relative responsabilità, comprese quelle penali, nonché gli oneri economici conseguenti alle cure che devono essere fornite al malato.

Com’è ormai riconosciuto, sono preferibili, nell’interesse del malato, le cure domiciliari nei casi in cui non debbano essere fornite prestazioni che richiedano personale specializzato e strumentazioni particolari.
Al riguardo, le Asl più rispettose delle esigenze dei malati assicurano adeguate prestazioni domiciliari sia mediche che infermieristiche e, occorrendo, riabilitative. Inoltre, dette Asl riconoscono il volontariato intrafamiliare e versano a coloro che provvedono alle cure domiciliari una somma quale rimborso forfetario delle spese sostenute.

Nei casi in cui le persone malate, compresi gli anziani non autosufficienti ed i malati di Alzheimer, siano ricoverati presso ospedali o case di cura private convenzionate, gli stessi degenti se in grado di esprimersi o, in caso contrario, i loro congiunti, possono rifiutare le dimissioni se permane lo stato di malattia acuta o cronica con o senza autosufficienza.

Alcune considerazioni importanti:

Le persone a cui si indirizzano le lettere di cui sopra faranno il possibile per non rispondere per iscritto in modo da non assumere impegni ed evitare questioni con l’autorità giudiziaria.

Chi vuole impedire le dimissioni deve essere molto deciso e deve chiedere una risposta scritta.

Allo scopo di avere le prove delle richieste avanzate, si deve sempre o inviare lettere raccomandate con ricevuta di ritorno o telegrammi (il fax non va bene perché si ha la prova di averlo spedito ma non quella che sia stato ricevuto).

Se si hanno degli incontri con medici, assistenti sociali o altri operatori, è consigliabile non assumere mai impegni verbali o scritti. Inoltre, subito dopo ogni incontro, è opportuno inviare un telegramma così redatto: «A seguito dell’incontro di ieri, di cui ringrazio, confermo la mia opposizione alle dimissioni come ho chiesto nelle raccomandate da me inviate in data …  di cui attendo risposta scritta».

Se viene presentata dai medici e da altri operatori documentazione da firmare, è consigliabile inviare fotocopia al  Comitato per la difesa dei diritti degli  assistiti della Fondazione Promozione sociale che la prenderà in esame allo scopo di segnalare eventuali problemi. Il ricovero presso ospedali e case di cura private convenzionate deve sempre essere gratuito.

I trasferimenti da una struttura all’altra devono essere fatti a cura e spese del Servizio sanitario nazionale. Quasi sempre, il personale delle Asl o dei Comuni propone il ricovero degli anziani cronici non autosufficienti e dei malati di Alzheimer presso Rsa (Residenze sanitarie assistenziali), case protette o altre strutture analoghe.
Si tratta di strutture del settore socio-sanitario (con caratteristiche molto diverse da quello sanitario), il cui accesso è vincolato dal parere favorevole rilasciato dalle Uvg (Unità valutative geriatriche) che sono commissioni istituite dalle Asl.

Ottenuto il parere favorevole dell’Uvg, il malato viene inserito in liste di attesa, e può aspettare anche uno o più anni prima di essere ammesso in una Rsa. Nel frattempo, se si accettano le dimissioni, la persona che le ha accolte deve provvedere a curare il malato con i mezzi economici del malato stesso e, se essi non sono sufficienti, con le proprie risorse. Le cure possono essere fornite sia a domicilio che presso Rsa. Se si tratta di Rsa la retta è interamente a carico del malato e di chi ha accettato le dimissioni: può arrivare anche a 3.000-3.200 euro al mese. Infatti, nei casi in cui il ricovero nelle Rsa venga disposto al di fuori della lista di attesa, le Asl non versano la quota sanitaria. (IMPORTANTE: si propone una lettera facsimile per richiedere all’Asl il il versamento della quota sanitaria: cliccare qui).

Invece, quando il ricovero nella Rsa viene concordato con l’Asl, la quota sanitaria viene corrisposta dall’Asl stessa, mentre il ricoverato deve versare la retta chiamata alberghiera. Se si sottoscrive un accordo con la Rsa (o altra struttura) in cui il malato è ricoverato, chi lo firma stipula un contratto privato con l’ente e quindi, salvo eccezioni, è obbligato a rispettarlo per tutta la durata del ricovero. Segnaliamo che gli operatori dei servizi sanitari e sociali sono personalmente responsabili dei danni derivanti da loro errate informazioni. Pertanto coloro che sono in grado di comprovare (tramite scritti o testimonianze di persone non legate da vincoli di parentela o di affinità) le negative conseguenze economiche subite a seguito di informazioni errate, possono rivolgersi all’Autorità giudiziaria per il rimborso delle spese sostenute, ad esempio per il ricovero “privato” in una Rsa con oneri (quota sanitaria e quota alberghiera) interamente a carico del paziente o di chi lo rappresenta.

GLI ANZIANI DEFINITI CRONICI VENGONO CALPESTATI NEI LORO DIRITTI

(Estratto dal n. 44 di Prospettive assistenziali)

Negli ultimi anni larghi strati dell’opinione pubblica sono stati sollecitati a porsi in posizio­ne critica per quel che riguarda l’istituzionaliz­zazione. Si è così operato in una prospettiva alternativa agli istituti: l’adozione dei bambini abbandonati invece del ricovero in istituto, l’in­serimento scolastico e lavorativo e sociale degli handicappati, la legge di chiusura dei manicomi, una prevenzione sanitaria e sociale nei luoghi di lavoro e nel territorio.

Sono state avviate anche alcune iniziative nei riguardi degli anziani autosufficienti: assegnazio­ne di alloggi della edilizia economica e popolare (v. leggi n. 865 del 22 ottobre 1971 e n. 513 dell’8 agosto 1977), contributi economici ordinari di­retti ad assicurare il minimo vitale e straordinari diretti a coprire particolari esigenze (1), l’aiuto domestico, l’assistenza infermieristica domicilia­re oltre che ambulatoriale, le comunità alloggio inserite nel normale contesto abitativo. Questa sollecitazione, che è seguita alla lotta di alcuni gruppi, ha portato a risultati molto po­sitivi, anche se c’è ancora moltissimo da fare per arrivare a una situazione soddisfacente per l’utenza, soprattutto per quanto concerne l’elimi­nazione delle cause che provocano le richieste di assistenza.

Ma nel campo degli anziani definiti cronici, poco è stato fatto e i problemi restano tutti da risolvere. Si tratta di un grande numero di per­sone che, se l’andamento dell’età media cresce­rà, aumenterà ancora. Non si è fatto nulla per alleviare le sofferenze e curare la salute di questi cittadini che sono i più indifesi, a causa del decadimento fisico e psichico; spesso abbandonati a loro stessi per­ché soli (2) o ignorati dai loro familiari. Anzi proprio perché bisognosi di cure e di assistenza vengono fatti oggetto di speculazione dagli isti­tuti di assistenza sia privati che pubblici. Tra questi le IPAB che per politica di prestigio e di potere clientelare non solo cercano di sopravvi­vere, ma di accrescere il loro campo di azione, strumentalizzando spesso la dedizione del per­sonale laico o religioso e sfruttando il più delle volte un personale sottopagato, insufficiente, senza preparazione alcuna e sovente anche privo di una sistemazione lavorativa stabile e perciò sottoposto a minacce e ricatti, in contrasto con l’obiettivo di benessere e di salute dei ricoverati.

Questa posizione degli istituti di assistenza trova complicità nell’inerzia e nella totale indif­ferenza del Governo, del Parlamento, delle Am­ministrazioni regionali e locali; così che le aspi­razioni ad una gestione dei servizi sanitari in funzione degli interessi reali della popolazione, ripetutamente manifestate a livello verbale, non solo non hanno trovato soddisfazione ma sono state sistematicamente contraddette. In particolare la situazione sanitaria nei con­fronti della patologia della vecchiaia è grave­mente carente.

Una mutualità frantumata per categorie e dif­ferenziata per prestazioni, una politica di pre­stigio e di potere di numerose amministrazioni ospedaliere, una degenerazione mercantile della classe medica, una pratica medica sempre più differenziata secondo il censo dei pazienti non è certo portata a recepire i bisogni dei più deboli.

A questa categoria appartengono gli anziani cronici poveri (quelli che godono di appoggi o protezione potranno sfuggire a certe condizioni di emarginazione).Nell’organizzazione ospedaliera vengono di­messi o non ammessi perché di solito non graditi ai medici mutualistici o specialistici troppo oc­cupati negli aspetti burocratici e tecnici della malattia, e poco attenti al valore etico ed umano della persona, e neppure graditi dal personale paramedico ed infermieri che vedono nei cronici solo un aggravio delle loro mansioni. Nello stes­so tempo con una assistenza sanitaria che non riesce a far fronte ai suoi compiti di segnalare, prevenire, curare e riabilitare, saranno sempre gli stessi anziani che vedranno accelerato il loro decadimento fisico e psichico così da esser co­stretti al ricovero in cronicario. Qui l’istituzio­nalizzazione, carente di un accertamento opera­tivo verso i problemi personali, emarginandoli dalla loro vita di sempre con gli altri, sarà un ulteriore elemento per l’aggravamento delle loro condizioni.

Prevenzione

Ne deriva una prima considerazione: anche gli interventi contro la cronicità non possono esse­re disgiunti da una lotta contro l’emarginazione e la segregazione. Non basta quindi mettere in atto una serie di servizi di prevenzione nei ri­guardi degli anziani, se questi interventi servono solo ad isolare l’anziano e non ad aiutare ad una piena realizzazione della propria personalità. Oc­corre quindi che la prevenzione sia di tutti e per tutti e cioè diretta ad assicurare «il massimo benessere fisico, psichico e sociale» secondo la famosa definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Prevenire significa porsi l’obiettivo dell’elimi­nazione delle cause che provocano malattie, han­dicap, disadattamento, emarginazione. La prevenzione non è pertanto un intervento esclusivamente o prevalentemente sanitario e deve attenuare gli ostacoli sociali: riguarda per­ciò tutti i settori sociali: lavoro, casa, scuola, cultura, assetto del territorio, ecc. (3).

Provvedimenti nei confronti dei cronici

Oggi le persone definite croniche (si tratta so­prattutto di anziani, ma lo stesso problema si pone anche nei riguardi degli handicappati) sono sbattute (è la parola che esprime più compiuta­mente quel che avviene) fuori dagli ospedali o non vi sono ammesse anche quando esse hanno bisogno di cure non praticabili a domicilio o in ambulatorio.

Si ritengono illegittimi i provvedimenti di di­missione o di non ammissione operati dagli Enti ospedalieri nei confronti degli anziani definiti cronici perché:

1) già l’on. Vigorelli nella relazione al Senato sulla legge 4 agosto 1955, n. 692, «Estensione dell’assistenza di malattia ai pensionati di inva­lidità e vecchiaia» commentando l’art. 3 («… ta­le assistenza spetta senza limiti di durata nei casi di malattie specifiche della vecchiaia») mise in evidenza come dato di fatto che la «condi­zione fisica dei pensionati richiede prestazioni sanitarie del tutto particolari, almeno per quanto riguarda la durata dell’erogazione delle presta­zioni medesime»;

2) con il decreto del Ministero del lavoro 21 dicembre 1956 «Determinazione delle malattie da considerarsi specifiche della vecchiaia» ven­nero determinate le malattie « specifiche » della vecchiaia per l’applicazione dell’art. 3 legge 4 agosto 1955 n. 692 e fu ribadito che «le manife­stazioni morbose di cui al precitato elenco sono assistibili senza limiti di durata, dopo l’età pen­sionabile, purché siano suscettibili di cure am­bulatoriali e domiciliari. Per tali forme morbose è analogamente concessa l’assistenza ospedalie­ra, quando gli accertamenti diagnostici, le cure mediche e chirurgiche non siano normalmente praticabili a domicilio, ma richiedano appresta­menti tecnici e scientifici ospedalieri».

A giustificazione delle dimissioni e delle non ammissioni al ricovero ospedaliero, gli Enti ospe­dalieri ritengono (arbitrariamente) obbligatoria l’applicazione dell’art. 3 della legge 4 agosto 1955 n. 692 per i soli casi di malattie acute.

Risulta evidente l’arbitrarietà dell’applicazione dell’articolo di cui sopra in quanto:

  1. a) è ben vero che esisteva (circolare del 1953 n. 4 dell’I.N.A.M.) una disciplinasull’assi­stenza mutualistica che fondava, tra l’altro, sulla distinzione tra malattie «acute» e «croniche» il regolamento delle diverse prestazioni sanita­rie dovute. Ma, a ben interpretare la circolare, risulta chiaramente che tale distinzione fu un parametro puramente cronologico-medico. Con la definizione di cronicità non si volle assoluta­mente statuire un nuovo criterio per stabilire chi avesse, o meno, la possibilità di avvalersi di un diritto all’assistenza, diritto che la legge 692 del 1955 attribuisce a tutti indistintamente.
  2. b) La legge n. 692 volleinfatti chiaramente eliminare (e così innovare alle precedenti pras­si) ogni distinzione tra le varie forme e stadi di malattie statuendo il principio della «assistenza senza limiti di durata» (4-5); non sarebbe quindi possibile, neppure volendolo, far conciliare due disposizioni di per se stesse opposte e contra­stanti (quali la circolare I.N.A.M. e la legge nu­mero 692).
  3. c)Il D.M. 21-12-1956, che stabilisce quali siano le malattie da considerarsi specifiche della vecchiaia, statuisce al 3° comma che «l’assisten­za ospedaliera è analogamente (“senza limiti di durata”) concessa quando gli accertamenti diagnostici, le cure mediche o chirurgiche non siano normalmente praticabili adomicilio ma richiedano apprestamenti tecnici o scientifici ospedalieri».

Obblighi degli Enti ospedalieri

Ne deriva che il diritto al ricovero ospedaliero «senza limiti di durata» non è condizionato da alcun requisito di «acuzie» della malattia, bensì dal requisito della necessità di cure od accerta­menti «non normalmente praticabili a domi­cilio».

In altre parole, nasce l’obbligo per gli Enti ospedalieri in relazione al ricovero, o meno, di utilizzare un criterio che ben supera e annulla quello della semplice constatazione medica del­lo «stadio» della malattia. Il criterio della ne­cessità (6), infatti comprende una valutazione complessiva delle condizioni del malato che par­te dalla considerazione dello stato morboso per involgere, poi, fattori di diversa e complessa natura, quali ad esempio, la possibilità o meno, a seconda delle strutture sanitarie e sociali e delle condizioni soggettive, economiche, familiari del malato di proseguire le cure in via ambulatoriale o domiciliare (7). In definitiva il concetto di «cro­nico» non è più da valutarsi come «malattia a lungo decorso non guaribile», ma come malattia che implica una valutazione dell’individuo nella sua globalità fisica, psichica, sociale.

Il cronico non dovrebbe più essere un «depo­sito» e un peso per gli ospedali, né un cliente temporaneo con pessimo trattamento.

A ben vedere l’introduzione di questo nuovo concetto della necessità ha forse voluto anche ricordare che le affezioni del vecchio divengono più o meno invalidanti sia in relazione al tipo di lesione sia, e soprattutto, in rapporto al tratta­mento realizzato, alla tempestività e continuati­vità dell’attuazione delle pratiche riabilitative. Infatti un adeguato trattamento ospedaliero può prevenire la cronicizzazione e quel deterioramen­to psichico che si verifica nei vari istituti per i vecchi (8).

Alla luce di queste considerazioni e di quanto stabilito dal D.M. 21-12-1956 e dall’art. 41 legge 12-1-1968 n. 12, appaiono ancora più illegittime le dimissioni dei malati anziani «cronici» quan­do non sia valutata la «necessità» del ricovero e considerata la possibilità, da valutare in rela­zione alle condizioni reali esistenti, di poter pra­ticare le cure a domicilio o in ambulatorio.

È da notare quanto il requisito giustificativo del ricovero, «stato di necessità», sia ancor più incidente «oggi» nel caso di persone affette da malattie specifiche della vecchiaia: il ricovero è, infatti, quasi sempre, l’unica alternativa alla pos­sibilità di usufruire o di cure «normalmente pra­ticabili» a domicilio, o quanto meno di altre forme assistenziali pubbliche.

  1. d) Infatti gli anziani affetti da malattie « cro­niche », che dovrebbero poter usufruire maggior­mente del diritto all’assistenza gratuita pubblica, come ogni altro ammalato, nonostante che la legge n. 692/1955 li abbia resi titolari di un par­ticolare diritto e privilegio nei confronti degli altri assistiti, vengono troppo spesso e troppo presto abbandonati perché dimessi dagli ospedali arbitrariamente, senza avere a disposizione al­ternative assistenziali pubbliche. Sono costretti, così, una volta dimessi dagli ospedali, a ricor­rere ad istituti di assistenza, il più delle volte a proprie spese (9).

Ciò è in contrasto non solo con tutto quanto detto fin d’ora, ma con diverse leggi relative agli enti ospedalieri che più volte ribadiscono il «di­ritto» per il «cronico» ed il «lungodegente» ad un’assistenza ospedaliera pubblica. Statuisce la legge 12-2-1968 n. 12 art. 1: «L’assistenza ospedaliera pubblica é svolta a favore di tutti i cittadini…». Art. 2: «Sono Enti ospedalieri gli Enti pubblici che istituzionalmente provvedono al ricovero e alla cura degli infermi». Art. 3: «Le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e gli altri Enti pubblici, che al momento di entrata in vigore della presente legge, provvedono esclu­sivamente al ricovero e alla cura degli infermi, sono riconosciuti di diritto Enti ospedalieri. Sono pure costituiti in Enti ospedalieri tutti gli ospe­dali appartenenti ad Enti pubblici che abbiano come scopo oltre l’assistenza ospedaliera anche finalità diverse». Art. 20: «Gli ospedali sono generali e speciali, per lungodegenti e per con­valescenti». Art. 22: «Sono ospedali generali quelli dotati di distinte divisioni di medicina ge­nerale, di chirurgia generale … geriatria e per ammalati lungodegenti, salvo che ad alcune di dette specialità non provvedano ospedali specia­lizzati viciniori». Art. 25: «Gli ospedali per lun­godegenti e per convalescenti sono classificati come ospedali di zona o provinciali in relazione alle indicazioni del piano regionale ospedaliero… Gli ospedali per lungodegenti e per convalescen­ti devono, inoltre, possedere ogni altro servizio previsto per le corrispondenti categorie degli ospedali generali, in quanto necessari alla spe­cifica natura dell’ospedale». Art. 29: «Ciascuna regione provvede a programmare i propri inter­venti nel settore ospedaliera… ed indica la previsione degli interventi regionali relativi all’im­pianto di nuovi ospedali, alla trasformazione, ammodernamento o soppressione degli ospedali esistenti in relazione al fabbisogno dei posti let­to distinti per acuti, cronici, convalescenti, lun­godegenti…». Viene infine ribadito all’art. 14 «Le norme concernenti l’ordinamento interno dei servizi dovranno disciplinare: a) l’ammissione e dimissione degli infermi ispirandosi al principio della obbligatorietà del ricovero nel caso in cui ne sia accertata la necessità…».

Le prestazioni ospedaliere dovute a favore dei cronici e lungodegenti vengono ribadite nel D.M. 13-8-1969, ove sono più volte nominate divisioni e sezioni per lungodegenti nella previsione di un quadro di una rete ospedaliera che assicuri ogni forma di assistenza in relazione alle esigen­ze della popolazione.

Infine, di notevole importanza è la legge 17-8­1974 n. 386, la quale precisa all’art. 12: «I com­piti in materia di assistenza ospedaliera degli Enti anche previdenziali che gestiscono forme di assistenza contro le malattie, nonché delle casse mutue anche aziendali, comunque denomi­nati e strutturati, sono trasferiti alle Regioni a statuto ordinario … le quali erogano le relative prestazioni in forma diretta e senza limiti di du­rata agli iscritti e rispettivi familiari avvalendosi degli Enti ospedalieri, nonché a seguito di con­venzioni, delle cliniche ed istituti universitari, degli istituti di ricovero e di cura…».

Questa nuova legge non solo dimostra l’esat­tezza di quanto affermato da noi finora, ma fa cadere ogni eventuale problema interpretativo di tutte le leggi ad essa precedenti. Infatti, l’art. 12 legge 1974 evolve ed amplia il concetto stesso di «assistenza senza limiti di durata» non circo­scrivendolo più (come nella legge n. 692/1955) alle sole persone in età pensionabile. Finalmente viene esplicitamente prevista e statuito un di­ritto di tutti ad un’assistenza ospedaliera, senza alcuna discriminazione!

Pertanto, alla luce di questa nuova disposizio­ne legislativa, appare ancora più illegittimo il voler sostenere che qualora il soggetto non sia più suscettibile di recupero (cioè cronico) l’ospe­dale non ha più obblighi né competenze di som­ministrare mezzi terapeutici.

Per non scordare, poi, che quanto sinora affer­mato «giuridicamente», è altrettanto valido da un punto di vista medico. Il diritto all’assistenza ospedaliera non può non essere relativo a tutti, sempreché la cura non possa essere fornita a domicilio o in ambulatorio.

Ogni malattia è sempre suscettibile di cure anche se si tratta di malattie inguaribili. Non esiste malattia di fronte alla quale non si possa prescrivere una terapia efficace, suscettibile cioè di provocare un effetto: l’efficacia terapeutica non va confusa con la guaribilità.

Voler sostenere poi che l’assistenza deve essere limitata «alle manifestazioni acute del morbo», costituisce anche un apprezzamento atecnico degli stessi fini della medicina.

A conclusione ribadiamo, dunque, l’evidente illegittimità dell’operato degli Enti ospedalieri che non accettano di ricoverare o dimettono le persone dichiarate «croniche».

Per quanto concerne i contenuti dei servizi sa­nitari e assistenziali, facciamo riferimento alla proposta di legge regionale di iniziativa popolare n. 347 «Riorganizzazione dei servizi sanitari e assistenziali e costituzione delle unità locali di tutti i servizi», presentata al Consiglio regionale piemontese il 21 luglio 1978 con 13.000 firme (10).

Proposte di intervento

Proponiamo ai movimenti di base interessati di sollecitare ovunque sia possibile iniziative ed interventi perché siano riconosciuti agli anziani cronici i diritti sanciti dalle leggi vigenti: azione informativa pubblica (volantini, articoli su gior­nali, radio e televisioni di Stato e private), infor­mazioni specifiche nei confronti degli interessati e dei loro parenti, degli operatori sanitari degli ospedali e del territorio, degli Amministratori regionali e comunali, dei Sindacati dei lavoratori.

Nei casi in cui queste o altre iniziative non portino a risultati concreti, riteniamo che non siano da escludere ricorsi alla Magistratura sia su casi specifici di persone illegittimamente di­messe dagli ospedali, sia sull’arbitrio di giustifi­cazioni di dimissioni o non ammissioni.

Il problema è, a nostro avviso, molto urgente perché se, come speriamo, entrerà presto in fun­zione la riforma sanitaria si può consolidare l’il­legale prassi attuale che, calpestando i diritti degli anziani ammalati cronici, contribuirà a fa­vorire lo sviluppo degli istituti privati di assi­stenza.

Inoltre il passaggio delle IPAB ai Comuni (11) può portare a un sovraccarico di personale assi­stenziale: di qui la necessità di porre al Sinda­cato il problema della mobilità non solo all’in­terno del settore assistenziale per i servizi alter­nativi al ricovero, ma di estenderla al settore sanitario.

(1) Si veda la delibera del Comune di Torino pubblicata sul n. 44 di Prospettive assistenziali.

(2) Si tenga conto che i nuclei familiari composti da una sola persona sono, in una città attiva come Torino, ben 141.627 sul totale di 471.040 nuclei e cioè il 30%; la popola­zione complessiva di Torino è di 1.181.853 abitanti (dati relativi al 31-12-1977).

(3) Sul piano istituzionale questa posizione porta alla ri­chiesta dell’Unità locale di tutti i servizi di base.

(4) Relazione dell’on. Vigorelli, art. 3 della legge 692: «La condizione fisica dei pensionati richiede, peraltro, pre­stazioni sanitarie del tutto particolari, almeno per quanto riguarda la durata dell’erogazione e delle prestazioni me­desime. (È più che evidente che non ha senso parlare di stato acuto o cronico in relazione alle malattie tipiche della vecchiaia in quanto la maggior parte di esse è di per sé “non suscettibile di recupero o guarigione”). È da una visione umanitaria di tali situazioni che è scaturita la for­mulazione dell’art. 3, il quale… rimuove qualsiasi limite di durata per le malattie specifiche della vecchiaia».

(5) V. anche C. Stato Ad – Gen. 22 novembre 1971 «Le malattie specifiche della vecchiaia sono assistibili senza limiti di durata purché dopo l’età pensionabile».

(6) Criterio ribadito dall’art. 41 legge 12-1-1968, n. 132, il quale per determinare l’ammissione e dimissione degli infermi, stabilisce il principio della «obbligatorietà» del ricovero nel caso in cui ne sia accertata la necessità.

(7) V. anche la sentenza del Tribunale di Savona del 31 maggio 1958: «Il ricovero deve essere necessario soggetti­vamente e non oggettivamente, perché l’ammalato non è in grado di discutere la diagnosi del dottore e nemmeno sono in grado di farlo a distanza di tempo i medici dell’INAM e tanto meno i suoi dipendenti del ramo amministrativo, in quanto anche una malattia che normalmente può essere curata in casa può rendere necessario il ricovero del ma­lato in ospedale». Foro It. 1959/1859.(8) Le sindromi psichiche da disadattamento (in istituti) recano con sé notevoli manifestazioni negative: dalla re­gressione, alla perdita dell’autosufficienza, all’accentuato decadimento fisico, alla comparsa di atteggiamenti aggres­sivi, reattivi, depressivi.

(9) Ricordiamo che la maggior parte di questi istituti di ricovero per i vecchi, anche se annessi alle opere ospeda­liere, hanno rette piuttosto alte. Molte case di cura hanno, infatti, favorito sempre più il ricovero dei vecchi malati cronici per poter fruire delle rette elevate; alcuni istituti sono ridotti a veri e propri cronicari.

(10) V. Prospettive assistenziali, n. 43.

(11) Dovrebbe essere evidente che le IPAB che gesti­scono istituti di ricovero per anziani non «svolgono in modo precipuo attività inerenti la sfera educativo religiosa» e che perciò dovrebbero essere trasferite tutte alle regioni e ai comuni.

ALLEGATO 2

INIZIATIVE CONTRO LE DIMISSIONI DAGLI OSPEDALI DI ANZIANI CRONICI

(Estratto dal n. 46 di Prospettive assistenziali)

Segnaliamo le iniziative assunte dai Comuni di Brescia e di Torino contro le illecite dimissioni di anziani cronici dagli ospedali, per sottolinear­ne la tempestiva validità.

Le dimissioni dagli ospedali di anziani, che ab­bisognano ancora di cure non praticabili a domi­cilio o in ambulatorio rischiano di essere la sola strada praticata per consentire agli ospedali di ridurre le spese, le giornate di degenza, la mor­talità, il carico di lavoro del personale sanitario, parasanitario e inserviente e violano i diritti de­gli anziani stessi (1).

Si tenta in sostanza di non modificare le con­dizioni di fondo che determinano i costi assurdi e l’inefficienza del nostro sistema sanitario, ma di scaricare sui più deboli, come sempre avvie­ne, i rilevanti ritardi della riforma ospedaliera che ha completamente disatteso le aspettative.

Gravissime sono state le conseguenze. A To­rino dal 1974 un gruppo di parenti di cronici rico­verati nell’Istituto di riposo per la Vecchiaia di Torino (700 posti letto) si rifiutava di pagare la retta (attualmente di L. 15.000 al giorno), asse­rendo – giustamente – che le spese dovevano essere attribuite al settore sanitario, essendo il ricovero dovuto a situazioni di non salute.

Fermo restando questo principio, in via di tran­sazione è intervenuto un accordo fra l’istituto suddetto, il Comune di Torino e i parenti in base al quale le rette arretrate sono ridotte del 50%: in sostanza la quota di retta dei cronici a carico degli interessati e dei parenti tenuti agli alimenti è dello stesso importo della retta per gli auto­sufficienti.

Si tratta ora di estendere questo accordo a tutti i cronici ricoverati in istituto; nello stesso tempo occorre far attuare le leggi vigenti per impedire che gli ospedali dimettano o non rico­verino gli anziani cronici compresi quelli non riabilitabili.

Ciao Francesco

Queste erano le tue e nostre posizioni tanti anni fa. Purtroppo la situazione oggi non è cambiata. Tutto ricade sulle famiglie disperate. Gli anziani malati sono abbandonati.  Stipati in case di riposo troppo piccole, accuditi, se così si può dire, in residenze sanitarie, le Rsa, con poco personale. A Bologna lo scorso ferragosto (2022) i carabinieri del Nas hanno scoperto una struttura dove c’erano tre operatori per cinquanta ospiti.

Nelle cucine di due Rsa a Pavia, hanno trovate le blatte alias scarafaggi. In un’altra di Cremona, erano occupati nove letti in più rispetto ai 55 previsti. Su 351 strutture controllate in piena estate, una su su 5 aveva dei problemi. Le associazioni dei familiari continuano a protestare per i loro parenti “isolati dal mondo, che passano una vita in un letto”. E gli infermieri mancano.  Così on meno infermieri la qualità dell’assistenza peggiora. Tu Francesco dall’alto dei cieli aiutaci ancora a a lenire tutte queste sofferenze. Ciao Francesco.

La speranza è come l’acqua NON MUORE MAI

Oggi come non mai la nostra filosofia politica, o meglio il nostro impegno si concentra su un punto: la centralità delle persona.

E riflettendo sulle battaglia passate, a favore degli anziani malati non autosufficienti, abbiamo incrociato, facendo visita a Sandro a Bologna presso la Casa di riposo Giovanni XXIII, che eroga servizi di tipo sanitario e socio-assistenziale ad anziani non autosufficienti, un turbinio di emozioni: dolore, tenerezza e infine consapevolezza e SPERANZA.

E ci siamo imbattuti ne “L’acqua non muore mai”, un documentario partecipato realizzato con l’aiuto di tutte le persone che, direttamente o indirettamente, sono entrate in contatto con il mondo delle demenze.

Alcune domande sull’Alzheimer

Ancora oggi, l’Alzheimer è una malattia che fa paura. La conosciamo ancora poco, è vero.

Ma con questo lavoro -ha scritto Chiara Amato- abbiamo capito che non c’è davvero nulla di spaventoso, e lo vogliamo dimostrare. Perché, in fondo, cosa significa invecchiare? Cosa comporta l’invecchiamento? Di fronte a una società che invecchia rapidamente, interrogarsi diventa indispensabile. “L’acqua non muore mai” è un documentario che affronta questi temi senza l’ambizione di fornire una soluzione universale, ma con la convinzione di potere – e dovere – cominciare a porre domande nuove. È un racconto fatto di storie buone, di parole che sanno costruire, di persone che si occupano di qualità della vita, di bellezza, di relazione”.

Il Titolo

Ma perché questo titolo? “L’acqua non muore mai” è una frase scritta da una persona con demenza (Sig.ra Giovanna).Ci è piaciuta moltissimo, così ricca di profonda speranza. E ricche di speranza sono state tante delle frasi e dei pensieri che hanno condiviso con noi le persone con demenza che abbiamo incontrato nel nostro percorso di realizzazione del documentario. Le abbiamo consegnate alla disegnatrice Francesca Ballarini per dare loro un corpo oltre che una voce”.

Usa: Fda autorizza l’atteso farmaco per l’Alzheimer

Ha mostrato di rallentare la malattia, costerà 26.500 dollari all’anno a persona. Potrebbe essere una rivoluzione per i malati, ma i dubbi restano….leggere su Il Manifesto del 10 gennaio 2023.

La sede della Fda americana