Inventato da Giulio Barattucci nel 1858, è stato sulla tavola di re e scrittori. Fausto Napoli Barattucci, ultimo discendente, ha raccolto in un museo a Chieti, i cimeli di famiglia. Intanto la produzione continua con nuove creazioni
Pubblichiamo questo articolo scritto da Enrico Di Carlo, nato a Chieti nel 1960, giornalista, scrittore ed autore “dannunziano”, laureato in “Lingua e Letteratura delle Regioni d’Italia” presso l’Università “Gabriele D’Annunzio” di Chieti e bibliotecario all’Università degli studi di Teramo. Di Carlo ha scritto questo “viaggio”, attraverso la lunga storia del Confinio, “l’odoroso liquore teatino” come lo ha definito Gabriele D’Annunzio, sulla pagine del periodico abruzzese “Tesori d’Abruzzo” (anno XVI, numero 67) diretto da Paolo De Siena.
La storia si colora di giallo. Ma questa volta il giallo è quello di un liquore che ha il profumo dello zafferano d’Abruzzo. È una storia lunga centosessantacinque anni che si snoda passo dopo passo, anzi goccia dopo goccia, partendo dai contrafforti della Maiella, e perennemente in bilico tra favola e realtà, tra re e scrittori, intellettuali e gente del popolo.
Il liquore Corfinio nasce dalla fantasia di un mago o, forse no, di un alchimista. Due mogli e quattordici figli non distolgono Giulio Barattucci dal passeggiare lungo i sentieri sacri alla dea Maia, alla ricerca di erbe. Ne trova quarantadue quante bastano per compiere un incantesimo, conferendo a quella creazione il colore dello zafferano che si illumina di oro. Ma manca il nome. La favola vuole che don Giulio si trovasse a Corfinio, l’antica capitale della Lega italica, insieme al pittore Francesco Paolo Michetti, il quale gli avrebbe suggerito proprio quel nome per il nuovo nettare. Il mago compone una sinfonia che continua a fare del Corfinio “l’odoroso liquore teatino”, così nella bella definizione di Gabriele d’Annunzio.
Era venuto a Chieti da Guilmi, un piccolo paese della provincia, ove era nato il 4 marzo 1834, da Carmine e Rosalia, entrambi contadini. Barattucci (tra i cui avi figura Isabella, dama di Teano, moglie di Ferdinando Caracciolo di Napoli e madre di San Francesco Caracciolo), brevettò il “Corfinio” all’età di 24 anni. Nel 1895 (tre anni prima della morte avvenuta a Pescara il 27 dicembre 1898) Sabatino Lauriti raccontò di lui: «nato da genitori poveri, egli ha avuto una gioventù nomade, alla ricerca di lavoro; privo affatto d’istruzione, da sé solo ha perfino imparato a leggere e scrivere, ed ha immaginato e compiuto cose grandi, relativamente alla sua condizione, sempre spinto dallo stimolo di far onore al suo paese, stimolo che in Abruzzo è generale e grande; possiede oggi 19 medaglie, guadagnate in grandi esposizioni, ed un più grato premio del Re Galantuomo che, nel 1874, gli donava uno spillo di brillanti, con un monogramma delle sue iniziali; ed è arrivato alla maturità proprietario di un bellissimo stabilimento in fabbricato anche proprio, ove, ogni anno, fa la distillazione delle sue erbe, raccolte sulla Majella, per averne le essenze di cui si serve per la produzione de’ suoi liquori». Dopo i riconoscimenti di Vittorio Emanuele II, sarà re Umberto a conferirgli, nel 1879, “la facoltà di poter innalzare lo Stemma Reale” sul suo negozio.
Apre tre distillerie e due locali, uno a Chieti e uno a Napoli. Chieti è la “piccola Napoli”, ma lo stretto corso cittadino non è via Toledo. «Se Chieti fosse Parigi e il corso Galiani fosse i boulevards, il caffè Barattucci sarebbe rinomato per tutto il mondo. Invece Chieti è Chieti, ed il caffè Barattucci è celebre nei tre Abruzzi. Grazie a questa celebrità, non vi è personaggio o chietino o abruzzese o semplicemente forastiero, che non passi pel caffè Barattucci. Il caffè Barattucci è per Chieti un po’ di tutto: un po’ luogo di svago, un po’ centro di affari, un po’ borsa, un po’ circolo politico, un po’ (anzi un… molto) luogo di perditempo e di noia», scrisse Giuseppe Mezzanotte. Entrambi i caffè furono affrescati da Michetti. Ma Chieti non è Napoli. Qui il locale è a pochi passi dalla redazione del “Mattino”. È il luogo d’incontro per giornalisti e intellettuali partenopei.
Era soprannominato “la bomboniera di via Toledo”. Lì si davano appuntamento Ferdinando Russo, Salvatore Di Giacomo, Edoardo Scarfoglio, Eduardo Scarpetta, il giornalista Mascarillo (al secolo Ugo Ricci) e alcune volte d’Annunzio.
Di generazione in generazione, il Corfinio arriva al 1984 quando cessa di essere prodotto, dopo 126 anni di attività. Nel 1998, Fausto Napoli Barattucci ne riprende la distribuzione. L’allor giovane imprenditore, sulla scia del trisavolo, dà nuovo impulso alla conoscenza di quel nettare che sa di oro. Oggi l’antro della Maiella è un museo con sede in Chieti, in viale Amendola, nell’antico palazzetto di famiglia. C’è veramente il profumo della storia. Alambicchi, fotografie, diplomi, una minuziosa e raffinata oggettistica in vetro e ceramica, cartoline e disegni di noti umoristi italiani, restituiscono un fascino che dura da centosessantacinque anni.
Fausto Napoli Barattucci non è soltanto custode geloso delle memorie di famiglia. Sulla scia del geniale trisavolo, continua a inventare e a dare rinnovato impulso alla tradizione con nuovi prodotti a base di Corfinio: il panettone, il torrone e la colomba artigianali sono i pezzi forti della moderna produzione.
Smessi i panni dell’imprenditore don Fausto indossa quelli di chi racconta la storia di una città e di una regione. Coinvolge e seduce. E il più recente riconoscimento gli è arrivato dal FAI che il 25 e il 26 marzo scorsi, ha inserito il suo museo tra i siti abruzzesi meritevoli di essere visitati. Consapevole di possedere un segreto che da 165 anni fa del Corfinio “l’odoroso liquore teatino”.
“Il brindisi del poeta astemio”, il libro sulle abitudini enogastronomiche di Gabriele D’Annunzio
Gabriele D’Annunzio si materializza in un volume di 140 pagine che racconta il suo percorso storico ed enogastronomico scritto da un abruzzese, Enrico Di Carlo, e un emiliano romagnolo, Luca Bonacini, con la postfazione del parmigiano Andrea Grignaffini. Continua su Gustoh24