Mentre l’Europa avanza, il Pil italiano crescerà di poco, il Sud «va a fondo».

Lo ha detto Adriano Giannola, presidente Svimez, nel corso della videoconferenza del centro studi Pio La Torre dedicata a “Crisi economica: ricadute su Pnrr, Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e legalità” e trasmessa in videoconferenza alle scuole e alle carceri che hanno aderito al progetto educativo antimafia promosso dal centro.

«Se guardiamo ai valori assoluti del reddito pro capite, abbiamo perso più di mille euro e siamo gli unici in Europa ad avere una retromarcia simile. Il peso di questa discesa veloce agli inferi della marginalità a livello europeo è attribuibile in realtà a tutte le regioni, non solo a quelle del Mezzogiorno che, anzi, non possono scendere più di tanto, essendo le ultime come media europea come reddito pro capite. Rischiamo di diventare un Paese molto problematico ed eterogeneo rispetto agli standard di crescita del sistema europeo».

«Le regioni che dinamicamente guidano questa discesa sono proprio quelle del centro Nord, le cosiddette “locomotive” del Paese Italia che aspirano alla cosiddetta “autonomia differenziata”» ha aggiunto Giannola «e che vogliono liberarsi del Sud come di un macigno che le sta portando a fondo». La Lombardia, ad esempio, ha sottolineato il presidente dello Svimez, nel 2000 aveva un reddito pro capite del 158%, ancora maggiore della media europea, «ma ora è sceso a 128, cioè ha perso 30 punti percentuali, e così l’Emilia Romagna, che da 148 è passata a 119, il Veneto, che da 138 passa a 112, ma ancor più preoccupante è la Toscana, che nel 2019 da 127 punti percentuali passa a 100e che oggi sarà presumibilmente inferiore a 100 e che sta quindi entrando nell’area delle cosiddette politiche di coesione».

Il Piemonte, roccaforte dell’industria italiana, passa da 131% nell’anno 2000 come reddito pro capite rispetto alla media europea a 100, l’Umbria da 118 a 83.

Il Nord insomma si sta “meridionalizzando”, il sistema sta scendendo a valle, «tra poco l’Italia» avverte Giannola «sarà la più vasta area di disagio sociale, economico e produttivo dell’Unione europea». E Non va meglio se si prendono in esame altri indicatori: «Se consideriamo il tasso di occupazione, nell’Unione europea è del 68%, 63 per le donne» aggiunge. «In Italia quello stesso dato è 10 punti più basso, cioè 58%, e inferiore per le donne 49%».

«Al Sud, poi si passa dal 58 italiano al 44 % per gli uomini e 33% per le donne, cioè 30 punti sotto la media europea. La Sicilia, in dettaglio, ha un tasso di occupazione del 41% per gli uomini, cioè 27 punti in meno della media europea, e del 30% per le donne. Inoltre, molti dei lavoratori occupati sono classificati come “poveri”, hanno un reddito annuo inferiore a 11.500 euro e rappresentano in Italia il 12% della forza lavoro».

«Occorre ragionare sulla circolarità e sulla riprogettazione dei nostri processi produttivi, dei nostri obiettivi e della nostra politica» ha detto Adam Asmundo «perché la transizione dal vecchio al nuovo modo di produrre rischia di presentare un costo sociale pesante, ai ragazzi dico di essere protagonisti del cambiamento. Tante le domande che sono arrivate da parte degli studenti (oltre 3000 i partecipanti, più di 120 le scuole collegate in streaming): dall’incidenza della criminalità organizzata nel divario Sud/Nord, ai settori del Pnrr a maggior rischio di infiltrazioni mafiose».

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