Solo una Costituzione della Terra può obbligare i governi a rispettare gli impegni presi”, questo il titolo di un articolo del filoso del diritto Luigi Ferrajoli ha scritto oggi, 26 gennaio 2022, su “Pianeta 2030” supplemento del Corriere della Sera.

Per la prima volta nella storia, l’umanità, a causa del riscaldamento climatico e della crescente inabitabilità del pianeta, rischia una graduale estinzione”. Ha scritto Ferrajoli che prosegue: “Da molti decenni la concentrazione nell’aria di anidride carbonica cresce in maniera progressiva: ogni anno, costantemente, viene immessa nell’atmosfera una quantità di CO2 maggiore di quella immessa l’anno precedente. È chiaro che fino a quando questo processo non sarà invertito, vorrà dire che stiamo andando verso la rovina. Non sono solo gli scienziati che concordemente ci avvertono di questo pericolo. Della catastrofe incombente, come hanno mostrato le riunioni dei G20 e poi l’incontro di Glasgow, sono consapevoli anche quanti ne sono, con le loro politiche, i responsabili”.

Il filosofo del diritto Luigi Ferrajoli: «Non si tratta di un’utopia, bensì dell’unica risposta razionale e realistica allo stesso dilemma: la generale insicurezza determinata dalla libertà selvaggia dei più forti, opposta a un patto razionale di sopravvivenza e convivenza pacifica».

Nella foto di copertina: Uno scatto del concorso Bird Photographer of the Year ‘21: un pigoscelico antartico, della famiglia dei pinguini, tutto solo su un iceberg (foto R. Granieri)

Per una Costituzione della Terra

Towards a Constitution of the Earth

1. Scetticismi e realismo. Tempi brevi e spazi ristretti delle politiche nazionali

1 Ci sono problemi globali che non fanno parte dell’agenda politica dei governi nazionali, anche se dalla loro soluzione dipende la sopravvivenza dell’umanità: il salvataggio del pianeta dal riscaldamento climatico, i pericoli di conflitti nucleari, la crescita delle disuguaglianze e la morte ogni anno di milioni di persone per mancanza di alimentazione di base e di farmaci salva-vita, il dramma di centinaia di migliaia di migranti ciascuno dei quali fugge da uno di questi problemi irrisolti.

2 È da questa banale consapevolezza che è nata l’idea di dar vita a un movimento diretto a promuovere una Costituzione della Terra. Siamo ben consapevoli del fatto che questo progetto può apparire un’utopia, una proposta irrealistica e irrealizzabile. Come è possibile, in tempi come gli attuali, di crisi delle democrazie nazionali e di processi decostituenti anche nei paesi più avanzati, ipotizzare una democrazia cosmopolitica e una costituzione globale che accomuni centinaia di popoli diversi, talora tra loro in conflitto? Come è possibile che un simile patto possa essere condiviso da 196 Stati sovrani e da quei nuovi sovrani irresponsabili e invisibili nei quali si sono trasformati i mercati?

3 Ebbene, proprio gli argomenti scettici sottostanti a queste due domande —l’inesistenza di un popolo globale omogeneo e l’esistenza degli Stati sovrani— sono a mio parere le ragioni principali a sostegno della necessità e dell’urgenza di un allargamento del paradigma costituzionale a livello internazionale. Contro la concezione nazionalista e identitaria della costituzione formulata da Carl Schmitt negli anni Trenta del secolo scorso e riproposta oggi dai tanti populismi e sovranismi, pensiamo infatti che la costituzione non consista nell’espressione dell’«identità» e dell’«unità del popolo come totalità politica»1. Essa è al contrario un patto di convivenza pacifica tra differenti e disuguali: un patto di non aggressione tra differenti e un patto di mutuo soccorso tra disuguali. Per questo è tanto più legittima, necessaria ed urgente quanto maggiori sono le differenze di identità personali che ha il compito di tutelare e le disuguaglianze materiali che è chiamata a ridurre. Una costituzione, in breve, è legittima e democratica non perché voluta da tutti, ma perché garantisce tutti. È d’altro canto evidente che 7 miliardi e 700 milioni di persone, 196 Stati sovrani dieci dei quali dotati di armamenti nucleari, un capitalismo vorace e predatorio e un sistema industriale ecologicamente insostenibile non possono a lungo sopravvivere senza andare incontro alla devastazione del pianeta, alla crescita delle disuguaglianze e della povertà e, insieme, dei razzismi, dei fondamentalismi e della criminalità.

4 Si capisce come di fronte a queste sfide globali alla ragione giuridica e politica, le politiche degli Stati nazionali siano inadeguate e impotenti. Sono sconcertanti la loro inerzia e il loro silenzio intorno alle catastrofi umanitarie, alle guerre e alle minacce di disastri ecologici dai quali, tra l’altro, fuggono le masse di migranti che le nostre inutili leggi e le nostre frontiere militarizzate non sono in grado di arrestare. Certamente questa inadeguatezza delle politiche nazionali si spiega anche con la loro subalternità all’economia generata dalla corruzione, dai conflitti di interesse e dalle pressioni lobbistiche. Ma essa dipende soprattutto da due gravi aporie che investono la democrazia politica, legate entrambe al rapporto delle politiche nazionali da un lato con il tempo e dall’altro con lo spazio.

5 Le politiche nazionali sono vincolate ai tempi brevi, anzi brevissimi, delle competizioni elettorali, o peggio dei sondaggi, e agli spazi ristretti dei territori nazionali: tempi brevi e spazi angusti che evidentemente impediscono ai governi statali, interessati soltanto al consenso elettorale, di affrontare le sfide e i problemi globali con politiche alla loro altezza. Le più gravi minacce al futuro dell’umanità —le devastazioni ambientali, le esplosioni nucleari, le stragi di migranti, la fame, la miseria e le malattie non curate che provocano la morte ogni anno di milioni di esseri umani— sono così ignorate dalle nostre opinioni pubbliche e dai governi nazionali e non entrano nella loro agenda politica, interamente legata agli spazi ristretti disegnati dalle competizioni elettorali. A causa della pratica quotidiana dei sondaggi in vista soltanto delle scadenze elettorali, la politica sta inoltre perdendo anche le dimensioni del tempo: da un lato l’amnesia, cioè la perdita della memoria delle guerre mondiali, dei fascismi e dei «mai più» da cui sono nate le costituzioni e le carte del secondo dopoguerra; dall’altro la miopia e l’irresponsabilità per il futuro non immediato e per i problemi globali. Solo così si spiegano il ritorno della guerra avvenuto in questi anni e l’indifferenza spensierata per le distruzioni in atto dell’ambiente e per le prognosi infauste sul futuro del nostro pianeta.

6 La democrazia odierna conosce insomma soltanto spazi ristretti e tempi brevi. Non ricorda e anzi rimuove il passato e non si fa carico del futuro, ossia di ciò che accadrà oltre i tempi delle scadenze elettorali e al di là dei confini nazionali. È affetta da localismo e da presentismo. È chiaro che l’ottica miope dei tempi brevi e degli spazi ristretti non può che rimanere ancorata agli interessi immediati e nazionali, e quindi escludere ogni prospettiva progettuale capace di farsi carico dei problemi sovra-nazionali e del futuro. La democrazia entra così in conflitto con la razionalità politica, ossia con gli interessi di lungo periodo degli stessi paesi democratici. E rischia perciò di crollare anche negli ordinamenti nazionali. Anche perché nell’odierno mondo globalizzato il futuro di ciascun paese dipende sempre meno dalla politica interna e sempre più da decisioni esterne, sia di carattere politico che di carattere economico.

2. La necessità e l’urgenza di un costituzionalismo oltre lo Stato. Istituzioni di governo e istituzioni di garanzia

7 È da questa banale, elementare consapevolezza che è nata l’idea di dar vita a un movimento d’opinione diretto a promuovere un costituzionalismo sovranazionale, in grado di colmare il vuoto di diritto pubblico prodotto dall’asimmetria tra il carattere globale degli odierni poteri selvaggi dei mercati e il carattere ancora prevalentemente locale della politica e del diritto.

8 Non si tratta di un’ipotesi utopistica. Si tratta al contrario della sola risposta razionale e realistica allo stesso dilemma che fu affrontato quattro secoli fa da Thomas Hobbes: la generale insicurezza determinata dalla libertà selvaggia dei più forti, oppure il patto di convivenza pacifica sulla base del divieto della guerra e della garanzia della vita. Un dilemma, quello odierno, ben più drammatico di quello allora concepito. Ci sono infatti due differenze profonde tra la società naturale dell’homo homini lupus ipotizzato da Hobbes e lo stato di natura nel quale si trovano tra loro i 196 Stati sovrani e i grandi poteri economici e finanziari globali, a loro volta dotati di sovranità assoluta. La prima è che l’attuale società selvaggia dei poteri globali è una società popolata non più da lupi naturali, ma da lupi artificiali —gli Stati e i mercati— sostanzialmente sottratti al controllo dei loro creatori e dotati di una forza distruttiva incomparabilmente maggiore di qualunque armamento del passato. La seconda è che, diversamente da tutte le altre catastrofi passate —le guerre mondiali, gli orrori dei totalitarismi— la catastrofe ecologica e quella nucleare sono in larga parte irreversibili, e forse non faremo a tempo a formulare nuovi «mai più»: c’è infatti il pericolo che si acquisti consapevolezza della necessità di un nuovo patto quando sarà troppo tardi.

9 Quel patto di convivenza pacifica, non dimentichiamo, era già stato stipulato dall’umanità all’indomani della seconda guerra mondiale e della liberazione dal nazifascismo. In quello straordinario quinquennio costituente, tra il 1945 e il 1948, seguito alla guerra mondiale, l’umanità sembrò prendere coscienza della propria fragilità. Furono perciò rifondate non solo, nei paesi liberati dai fascismi, le democrazie nazionali sulla base dei limiti e dei vincoli imposti da costituzioni rigide alle decisioni delle maggioranze. Fu anche rifondato, con la Carta dell’Onu e poi con le tante carte sui diritti umani, il diritto internazionale, che fu trasformato, da sistema pattizio di relazioni tra Stati sovrani basato su trattati, in un ordinamento giuridico entro il quale tutti gli Stati membri sono soggetti a un medesimo diritto, cioè al divieto della guerra e al rispetto e all’attuazione dei diritti umani. Disponiamo già, quindi, di un embrione di costituzione del mondo, formato dalla Carta dell’Onu e dalle tante carte, dichiarazioni, convenzioni e patti internazionali sui diritti umani. Sul piano normativo, insomma, il paradigma costituzionale è già stato incorporato nell’ordinamento internazionale. Ciò che proponiamo è che questa incorporazione sia esplicitata dalla stipulazione di una Costituzione della Terra che, come è avvenuto con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, raccolga e rielabori in un unico testo, rigidamente sopra-ordinato a tutte le altre fonti, sia statali che internazionali, quelle che il Preambolo a quella Carta ha chiamato le «tradizioni costituzionali comuni» a tutte le carte dei diritti più avanzate.

10 Dell’embrionale costituzione del mondo rappresentato da queste carte si sta infatti verificando, insieme alla perdita di memoria dei «mai più» alla guerra e ai totalitarismi in essa stipulati, un vistoso processo decostituente. L’affermazione in tutte quelle carte dei principi della pace, dell’uguaglianza e dei diritti fondamentali, avrebbe richiesto l’introduzione delle loro garanzie ad opera di una sfera pubblica globale: garanzie della pace tramite l’attuazione del capo VII della Carta dell’Onu e perciò il monopolio sovranazionale della forza, lo scioglimento degli eserciti nazionali e la messa al bando delle armi; garanzie dei diritti sociali alla salute, all’istruzione e alla sussistenza, tramite un adeguato finanziamento di istituzioni globali di garanzia come la Fao e l’Organizzazione mondiale della sanità; garanzie dei beni comuni contro le devastazioni ambientali, tramite l’istituzione di demani sovranazionali; garanzie giurisdizionali, a cominciare dal controllo di costituzionalità e di convenzionalità, contro le violazione dei divieti e degli obblighi imposti da tali garanzie.

11 C’è infatti un tratto caratteristico dei diritti fondamentali che spiega, nell’ordinamemto internazionale, la loro ineffettività. Diversamente dai diritti patrimoniali, le cui garanzie vengono ad esistenza insieme ai diritti garantiti —il debito insieme al credito, il divieto di lesione insieme al diritto reale di proprietà— i diritti fondamentali non nascono insieme alle loro garanzie, che ben possono mancare e di fatto mancano nel diritto internazionale. Hanno perciò bisogno di norme di attuazione, che ne introducano, a livello globale, le garanzie primarie e le relative istituzioni, come il servizio sanitario mondiale, un’organizzazione mondiale del lavoro e dell’istruzione, un demanio planetario, un fisco globale e simili. Nessuna di queste istituzioni di garanzia, fatta eccezione per la Corte penale internazionale introdotta dal Trattato di Roma del 1998, è mai stata istituita.

12 Ebbene, la nostra ipotesi di Costituzione della Terra intende prendere sul serio le tante carte dei diritti esistenti, che sono diritto vigente ancorché ineffettivo, introducendo una prima innovazione rispetto alle costituzioni statali e soprattutto alle tante carte internazionali dei diritti umani. Diversamente da queste carte essa dovrà prevedere e includere nel testo costituzionale non soltanto le tradizionali funzioni legislative, esecutive e giudiziarie, ma anche le funzioni e le istituzioni di garanzia primaria dei diritti e dei beni fondamentali.

13 L’ipotesi teorica che proponiamo di assumere alla base del nostro progetto è infatti una riformulazione della classica tipologia e separazione dei poteri formulata da Montesquieu 270 anni fa, in presenza di un sistema istituzionale enormemente più semplice di quelli attuali: la distinzione, che ho più volte proposto, tra istituzioni di governo e istituzioni di garanzia. Le istituzioni di governo sono quelle investite di funzioni politiche, di scelta e di innovazione discrezionale in ordine a quella che possiamo chiamare la «sfera del decidibile»: non solo, quindi, le funzioni propriamente governative di indirizzo politico e di scelta amministrativa, ma anche le funzioni legislative. Le istituzioni di garanzia sono invece quelle investite delle funzioni vincolate all’applicazione della legge, e in particolare del principio della pace e dei diritti fondamentali, a garanzia di quella che chiamerò la «sfera dell’indecidibile (che o che non)»: le funzioni giudiziarie o di garanzia secondaria, ma ancor prima le funzioni deputate alla garanzia in via primaria dei diritti sociali, come le istituzioni scolastiche, quelle sanitarie, quelle assistenziali, quelle previdenziali e simili.

14 Sono queste funzioni e queste istituzioni di garanzia, ben più che le funzioni e le istituzioni di governo, che a livello globale è necessario sviluppare in attuazione del paradigma costituzionale. Ciò che si richiede, ai fini della garanzia della pace, dell’ambiente e dei diritti umani, è non già l’istituzione di un’improbabile e neppure auspicabile riproduzione della forma dello Stato a livello sovranazionale —una sorta di superstato mondiale, sia pure basato sulla democratizzazione politica dell’Onu— ma piuttosto l’introduzione di tecniche, di funzioni e di istituzioni adeguate di garanzia. Le funzioni e le istituzioni di governo, infatti, essendo legittimate dalla rappresentanza politica, è bene rimangano quanto più possibile di competenza degli Stati nazionali, non avendo molto senso un governo rappresentativo planetario basato sul classico principio una testa/un voto. Al contrario, le funzioni e le istituzioni di garanzia primaria dei diritti fondamentali, e in particolare dei diritti sociali alla salute, all’istruzione e alla tutela dell’ambiente, essendo legittimate non già dal consenso della maggioranza ma dall’universalità dei diritti fondamentali, non solo possono, ma in molti casi devono essere introdotte a livello internazionale. Gran parte di tali funzioni contro-maggioritarie —in materia di ambiente, di criminalità transnazionale, di gestione dei beni comuni e di riduzione delle disuguaglianze— riguardano infatti problemi globali, come la difesa dell’ecosistema, la fame, le malattie non curate e la sicurezza, i quali richiedono risposte globali che solo istituzioni globali sono in grado di assicurare.

15 È soprattutto la mancanza di queste funzioni e di queste istituzioni globali di garanzia la vera, grande lacuna dell’odierno diritto internazionale, equivalente a una sua vistosa violazione. E sono queste funzioni e istituzioni di garanzia che occorre concepire e poi introdurre e imporre normativamente nella Costituzione della Terra, onde garantire la sopravvivenza del genere umano, minacciata per la prima volta nella storia dalle nostre stesse politiche irresponsabili.

16 Per questo abbiamo progettato una scuola «Costituente Terra»: il ruolo di questa scuola non è quello di insegnare, bensì quello di sollecitare la riflessione collettiva e l’immaginazione teorica in ordine alle tecniche e alle istituzioni di garanzia idonee a fronteggiare le sfide e le catastrofi globali. Se il nostro progetto avesse solo l’effetto di mettere all’ordine del giorno la riflessione teorica su queste tecniche di garanzia, avrebbe raggiunto un essenziale obiettivo.

3. L’inveramento del costituzionalismo per effetto della sua espansione a livello globale, nei confronti dei poteri privati e a tutela dei beni fondamentali. La vera utopia, il vero realismo

17 C’è poi una seconda, ancor più importante innovazione, rispetto al costituzionalismo tradizionale, che verrebbe prodotta da una Costituzione della Terra. Il costituzionalismo odierno è un costituzionalismo di diritto pubblico, ancorato alla forma dello Stato nazionale e declinato come sistema di limiti e vincoli a garanzia dei diritti fondamentali. Le espressioni «Stato di diritto», «Stato legislativo di diritto», «Stato costituzionale di diritto» sono significative: solo lo Stato e la politica, nella tradizione liberale, sarebbero il luogo del potere e se ne giustificherebbe la soggezione a regole e a controlli. La società civile e il mercato, al contrario, sarebbero il regno delle libertà, che si tratterebbe soprattutto di proteggere contro gli abusi e gli eccessi dei poteri pubblici. Quanto alle relazioni internazionali, esse sarebbero il luogo delle sovranità, sia pure debolmente vincolate al rispetto dei trattati.

18 La costituzione della Terra che proponiamo di elaborare si caratterizzerà invece per un allargamento del paradigma costituzionale oltre lo Stato, in tre direzioni: a) in primo luogo in direzione di un costituzionalismo sovranazionale o di diritto internazionale, in aggiunta all’odierno costituzionalismo statale, tramite la previsione di funzioni e di istituzioni sovra-statali di garanzia all’altezza dei poteri economici e politici globali; b) in secondo luogo in direzione di un costituzionalismo di diritto privato, in aggiunta all’odierno costituzionalismo di diritto pubblico, tramite l’introduzione di un sistema adeguato di regole e di garanzie nei confronti degli attuali poteri selvaggi dei mercati; c) in terzo luogo in direzione di un costituzionalismo dei beni fondamentali, in aggiunta a quello dei diritti fondamentali, tramite la previsione di garanzie dirette a conservare e ad assicurare l’accesso di tutti al godimento di beni vitali come i beni comuni, ma anche i farmaci salva-vita e l’alimentazione di base.

19 Sono tre espansioni dettate dalla logica stessa del costituzionalismo, la cui storia è la storia di un progressivo allargamento delle sue tutele: dai diritti di libertà nelle prime dichiarazioni e nelle costituzioni ottocentesche, al diritto di sciopero e ai diritti sociali nelle costituzioni del secolo scorso, fino ai nuovi diritti alla pace, all’ambiente, all’informazione, all’acqua e all’alimentazione oggi rivendicati e non ancora tutti costituzionalizzati. Si è trattato di una storia sociale e politica, prima che teorica, dato che nessuno di questi diritti è mai calato dall’alto, ma tutti sono stati conquistati da movimenti rivoluzionari: le grandi rivoluzioni americana e francese, poi i moti ottocenteschi in Europa per gli statuti, poi la lotta di liberazione antifascista da cui sono nate le odierne costituzioni rigide, infine le lotte operaie, femministe, ecologiste e pacifiste di questi ultimi decenni.

20 Oggi è un nuovo movimento d’opinione e di lotta politica che deve essere attivato e che già è stato avviato dalla mobilitazione di milioni di giovani in difesa della Terra. Non si tratta soltanto di un allargamento, ma anche di un inveramento del costituzionalismo. Siamo infatti convinti che esiste una contraddizione irrisolta, presente esplicitamente nella Carta dell’Onu, tra il costituzionalismo dei diritti universali e la difesa delle sovranità statali, tra il principio della pace e il mancato monopolio della forza in capo all’Onu, tra l’universalismo dei diritti fondamentali e le enormi disuguaglianze. È perciò un salto di qualità del costituzionalismo che oggi viene imposto dalle attuali, micidiali minacce al futuro della Terra e dell’umanità. Il paradigma costituzionale inverato dalla sua universalizzazione è infatti incompatibile sia con la cittadinanza, che è l’ultimo accidente di nascita —un diritto ad avere diritti— che differenzia le persone per ragioni di status, che con la sovranità, non essendo dalle costituzioni rigide ammessi poteri costituiti illimitati. «La sovranità appartiene al popolo», affermano le costituzioni democratiche. Ma questo vuol dire, poiché il popolo non è un macro-soggetto, che essa altro non è che la somma di quei frammenti di sovranità che sono i diritti fondamentali di cui tutti —i milioni, anzi i miliardi di persone che formano i popoli— sono titolari.

21Solo una Costituzione della Terra può insomma superare quei fattori di divisione del genere umano e di contraddizione con i principi della pace e dell’uguaglianza che sono le diverse sovranità e le diverse cittadinanze e perciò inverare l’universalismo dei diritti fondamentali. Solo grazie agli allargamenti qui ipotizzati del costituzionalismo, Stati e mercati cesseranno di essere, come ha detto Raniero La Valle, i nostri padroni, cioè valori intrinseci e fini a se stessi, come oggi vorrebbero sovranisti e liberisti, e trasformarsi in strumenti di garanzia dei diritti fondamentali di tutti e degli altri principi di giustizia costituzionalmente stabiliti. Solo tali allargamenti potranno restaurare la geografia democratica dei poteri sconvolta dalla loro confusione e dal capovolgimento di fatto del governo politico dell’economia nel governo economico della politica.

22 È in questo capovolgimento del rapporto tra politica ed economia, provocato dall’asimmetria tra il carattere globale della seconda e il carattere ancora soltanto statale della prima, che risiede il principale fattore di crisi delle nostre democrazie costituzionali. Oggi non sono più gli Stati che garantiscono la concorrenza tra le imprese, ma sono al contrario le grandi imprese transnazionali che mettono in concorrenza gli Stati, privilegiando quelli nei quali sono minori le garanzie del lavoro e dei diritti fondamentali, minori o inesistenti le tutele dell’ambiente e maggiori le possibilità di corrompere o comunque di condizionare i governi. Per questo, l’alternativa è oggi radicale: o si sviluppa un processo costituente di carattere sovranazionale, dapprima europeo e poi globale, cioè la costruzione di una sfera pubblica planetaria in grado di porre limiti alla sovranità selvaggia dei mercati e degli Stati più potenti a garanzia dei diritti e dei beni vitali di tutti, oppure sono in pericolo non soltanto le nostre democrazie, ma anche la pace e la vivibilità del pianeta.

23 Siamo quindi convinti che oggi la vera utopia, l’ipotesi più irrealistica e inverosimile sia l’idea che la realtà possa rimanere indefinitamente come è: che potremo continuare a lungo a basare le nostre ricche democrazie e i nostri spensierati tenori di vita sulla fame e la miseria del resto del mondo, sulla forza delle armi e sullo sviluppo ecologicamente insostenibile delle nostre economie. Tutto questo non può, realisticamente, durare. È lo stesso preambolo alla Dichiarazione del ‘48 che stabilisce, realisticamente, un nesso di implicazione reciproca tra pace e diritti, tra sicurezza e uguaglianza. E per quanto l’attuale assenza di una sfera pubblica globale equivalga alla legge dei più forti, essa non giova, nei tempi lunghi, neanche ai più forti: giacché la Terra, come dice un vecchio slogan del movimento contro l’odierna globalizzazione selvaggia, è l’unico pianeta che abbiamo.

24 Il vero realismo, la sola risposta razionale alle sfide globali è insomma la costruzione di una sfera pubblica globale che prenda sul serio le promesse formulate in quell’embrione di costituzione del mondo che è formato dalle tante carte dei diritti. La nostra iniziativa, il ruolo della nostra scuola avrà successo se solo riuscirà a mettere all’ordine del giorno della riflessione teorica e politica il tema, finora ignorato, della rifondazione garantista delle nostre democrazie: il tema di un processo costituente della democrazia cosmopolitica, che è anche il presupposto di un processo ricostituente delle democrazie nazionali. Per questo diffonderemo il nostro appello anche fuori del nostro paese e tenteremo di coinvolgere in quest’opera di riflessione collettiva avviata dalle nostre scuole l’intero mondo della cultura giuridica e politica: giuristi, economisti, teorici della politica di tutto il mondo.

25 Questa nostra scuola, anzi le nostre scuole —giacché speriamo che altre si aggiungeranno a quella che organizzeremo qui a Roma— dovranno riflettere su tutte le varie questioni e le varie emergenze che mettono in pericolo l’umanità e in ordine alle quali dovranno individuare le tecniche di garanzia più pertinenti. Qui ne indicherò tre, tutte di carattere globale: a) le catastrofi ecologiche; b) le guerre nucleari e la produzione e moltiplicazione delle armi; c) la fame e le malattie non curate. Ma sono molte altre le questioni e le emergenze su cui dovremo riflettere: lo sfruttamento del lavoro, la questione migranti, le minacce alla democrazia —e non solo gli innegabili benefici— oggi rappresentate dalle tecnologie informatiche. Tutte queste questioni sono tra loro connesse: i cambiamenti climatici, le guerre e la povertà crescente, da cui fuggono centinaia di migliaia di migranti, sono il frutto dell’anarco-capitalismo selvaggio e predatorio, a sua volta sorretto dalle politiche liberiste e dalla disgregazione da esse promossa delle soggettività collettive, tramite la precarizzazione dei rapporti di lavoro, a beneficio dei populismi e delle loro campagne identitarie e razziste.

4. L’emergenza ambientale, le possibili catastrofi ecologiche e le garanzie dei beni comuni

26 La prima emergenza, che richiede un costituzionalismo allargato in tutte e tre le direzioni sopra indicate —quale costituzionalismo di livello globale, quale costituzionalismo di diritto privato e quale costituzionalismo dei beni comuni— è l’emergenza ambientale. La nostra generazione ha recato danni irreversibili e crescenti al nostro ambiente naturale. Abbiamo massacrato intere specie animali, avvelenato il mare, inquinato l’aria e l’acqua, deforestato e desertificato milioni di ettari di terra. L’attuale sviluppo sregolato del capitalismo, insostenibile sul piano ecologico, sta avvolgendo come una metastasi il nostro pianeta mettendone a rischio, in tempi non lunghissimi, la stessa abitabilità. Nell’ultimo mezzo secolo, mentre la popolazione mondiale si è più che triplicata, il processo di alterazione e distruzione della natura —le cementificazioni, lo scioglimento delle calotte di ghiaccio in Groenlandia e in Antartide, il riscaldamento globale, gli inquinamenti dell’aria e dei mari, la riduzione della biodiversità, le esplosioni nucleari— si è sviluppato in maniera esponenziale. Contemporaneamente si stanno estinguendo le risorse energetiche non rinnovabili —il petrolio, il carbone e i gas naturali— accumulate in milioni di anni e dissipate in pochi decenni. Lo sviluppo insostenibile sta insomma dilapidando i beni comuni naturali come se noi fossimo le ultime generazioni che vivono sulla Terra.

27 Di qui la necessità di dar vita a una fase nuova del costituzionalismo che riconosca e garantisca, accanto ai diritti fondamentali, anche quelli che possiamo chiamare beni fondamentali perché vitali —come l’acqua, l’aria, i ghiacciai, il patrimonio forestale— sottraendoli al mercato e alla disponibilità della politica e stipulandone lo status inderogabile di beni costituzionali e perciò indisponibili, onde conservarli e renderli accessibili a tutti.

28 Assistiamo invece al processo opposto: alle privatizzazioni e alla mercificazione di questi beni. Il caso esemplare è quello di quel bene vitale che è l’acqua potabile, sottoposta a una duplice aggressione: dapprima la sua trasformazione, ad opera delle pratiche predatorie del capitalismo selvaggio —deforestazioni, sperperi, inquinamenti delle sorgenti e delle faglie acquifere— in un bene scarso e non più accessibile a tutti, al punto che circa un miliardo di persone non possono accedervi; poi, proprio per questo, la sua paradossale privatizzazione e trasformazione in merce, nel momento in cui se ne richiederebbe, per la sua scarsità, la garanzia come bene fondamentale di tutti.

29 Ma non solo l’acqua, tutti i beni comuni —l’atmosfera, i mari e i grandi fiumi, le grandi foreste, la biodiversità— sono oggi minacciati dallo sviluppo industriale insostenibile. Parafrasando il preambolo della Carta dell’Onu, una Costituzione della Terra volta a garantire i beni fondamentali del pianeta in aggiunta ai diritti fondamentali delle persone, potrebbe aprirsi con queste parole: «Noi popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le generazioni future dal flagello dello sviluppo ecologicamente insostenibile che nel corso di una generazione ha provocato indicibili devastazioni al nostro ambiente naturale, conveniamo» le seguenti, urgenti misure a garanzia dei seguenti beni fondamentali dell’umanità.

30 La riflessione teorica promossa dalla nostra scuola dovrà identificare questi beni e queste misure: l’istituzione di autorità mondiali di garanzia dell’ambiente, deputate alla sorveglianza sull’intangibilità dei beni fondamentali, all’imposizione di limiti e controlli in ordine all’emissione di gas serra, alla deliberazione di sequestri e sanzioni nei confronti di quanti violano le regole e le garanzie poste a tutela di tali beni vitali. La più importante di queste garanzie, a me pare, è una vecchia figura, nota fin dal diritto romano: quella del demanio, cioè della sottrazione al mercato dei beni comuni attraverso la loro qualificazione come beni demaniali. Con due correttivi. In primo luogo la costituzionalizzazione del loro status di beni demaniali. Oggi i beni demaniali sono definiti dalla legge: in Italia dal codice civile, che qualifica come tali una lunga serie di cose (le spiagge, i porti, i fiumi, i torrenti, i laghi, le strade statali e simili). Ma la legge può disporne, come è avvenuto in Italia, la privatizzazione e la trasformazione in beni patrimoniali che solo la loro costituzionalizzazione può impedire. In secondo luogo è necessaria l’istituzione di più tipi di demanio: oltre agli odierni demani comunali, regionali e statali, anche, i demani sovra-statali, europei o anche globali, onde porli al riparo dalle aggressioni provenienti dall’industria e dal mercato globale. Di un futuro demanio planetario dovrebbero far parte l’acqua potabile, i ghiacciai, i mari, i litorali marini e la foresta amazzonica, vittima da anni di incendi criminali.

31 Va aggiunto che una politica razionale diretta alla tutela dei beni ecologici richiede oggi una lotta contro il tempo. C’è infatti una terribile novità rispetto a tutte le catastrofi del passato. Sempre, dalle altre catastrofi, anche le più terribili —dalle guerre mondiali ai genocidi— la ragione giuridica e politica ha tratto lezioni, formulando contro il loro ripetersi nuovi patti costituzionali, nuovi «mai più». Diversamente da tutte le altre catastrofi passate della storia umana, la catastrofe ecologica è in larga parte irrimediabile, e forse non faremo a tempo a trarne le dovute lezioni. Per la prima volta nella storia c’è il pericolo che si acquisti la consapevolezza della necessità di cambiare strada e di stipulare un nuovo patto quando ormai sarà troppo tardi. Ma possiamo anche dire che per la prima volta nella storia l’emergenza ambientale può offrire, forse più di qualunque altra, l’occasione per costringere la popolazione del pianeta a mettere da parte i tanti conflitti e interessi meschini e per unificarla intorno a una battaglia comune, contro una minaccia comune, per una causa comune.

5. L’emergenza nucleare. Le guerre e la produzione e la vendita delle armi. Le garanzie della pace

32 La seconda emergenza, che parimenti richiede l’espansione del costituzionalismo a livello globale è costituita dalle guerre e dalle minacce alla pace generate dalla produzione e detenzione di armi sempre più micidiali. Dopo la caduta del muro di Berlino, nuove guerre di aggressione, pur previste come crimini dallo statuto della Corte penale internazionale approvato a Roma il 17.7.1998, sono state scatenate dall’Occidente: in Iraq nel 1991, nella ex Jugoslavia nel 1999, in Afghanistan nel 2001, di nuovo in l’Iraq nel 2003, contro la Libia nel 2011.

33 Oggi le guerre sono assai più spaventose di quelle del passato, se non altro per gli armamenti incomparabilmente più micidiali da esse impiegati e per il loro carattere asimmetrico, quali guerre dal cielo le cui vittime sono sempre più tra le sole popolazioni civili dei paesi aggrediti. Per loro natura sono anti-costituzionali. Equivalgono infatti alla rottura di quel patto di convivenza pacifica che fu stipulato con la Carta dell’Onu e rispetto al quale si configurano come eversione violenta.

34 Ebbene, la prima garanzia elementare contro l’incubo della guerra —ma anche contro il terrorismo e la grande criminalità—, a tutela dei diritti alla pace e alla vita, dovrebbe consistere nella rigida messa al bando di tutte le armi come beni illeciti e perciò il divieto senza deroga alcuna, quali crimini, della loro detenzione e, ancor prima, del loro commercio e della loro produzione.

35 Innanzitutto la messa al bando degli armamenti nucleari, che pesano come una permanente minaccia sul futuro dell’umanità. Oggi, nel mondo, ci sono 14.525 testate nucleari, in possesso di nove paesi: 6.850 in Russia, 6.450 negli Stati Uniti, 300 in Francia, 280 in Cina, 215 nel Regno Unito, 150 in Pakistan, 140 in India, 80 in Israele e 60 nella Corea del Nord. È stato solo per un miracolo che taluna di queste testate nucleari non sia ancora caduta nelle mani di una banda terroristica o che, in qualcuno degli Stati che ne sono in possesso, il potere non sia stato conquistato da un pazzo. Ma il miracolo può cessare. Il 2 agosto 2019 un presidente americano irresponsabile, a dispetto del Trattato sul disarmo votato due anni prima da 122 paesi, cioè dai due terzi dei membri dell’Onu, ha ritirato ufficialmente gli Stati Uniti dal Trattato del 1987 sulla non proliferazione degli armamenti atomici, così riaprendo la corsa generale al riarmo nucleare.

36 Ma una Costituzione della Terra dovrebbe mettere al bando tutte le armi, anche quelle non da guerra. Ogni anno, nel mondo, muoiono milioni di persone a causa della diffusione delle armi: nel solo 2017 si sono consumati 464.000 omicidi, per la maggior parte con armi da fuoco, e sono morte centinaia di migliaia di persone nelle tante guerre, quasi tutte civili, che infestano il pianeta; senza contare i numeri altissimi dei suicidi e degli infortuni causati dall’uso di armi.

37 Ebbene, questo assurdo massacro è in gran parte dovuto alla facilità di acquisto e all’enorme diffusione delle armi. Basti pensare alla differenza abissale tra il numero degli omicidi all’anno in paesi nei quali il possesso di armi da fuoco è generalizzato e tutti si armano per paura e quello nei paesi nei quali quasi nessuno va in giro armato: sempre nel 2017, 63.000 in Brasile, 29.168 in Messico, 17.284 negli Stati Uniti; ma 357, di cui 123 femminicidi, in Italia, dove quasi nessuno è in possesso di armi e dove la percezione dell’insicurezza e la paura, incomparabilmente maggiori che in passato quando il numero degli omicidi era enormemente maggiore, sono una costruzione politica e mediatica, che si spiega solo con il fatto che quasi tutti i fatti di violenza vengono raccontati in televisione, generando la sensazione che viviamo nella giungla.

38 Una campagna contro le armi dovrebbe perciò muovere dal riconoscimento di un fatto elementare: la diffusione delle armi e il terribile pericolo che ne consegue per la pace e la sicurezza sono il segno che non si è compiuto, neppure all’interno degli Stati nazionali —non, certamente, in quelli nei quali chiunque può acquistare un’arma micidiale, e meno che mai nella comunità internazionale— il disarmo dei consociati e il monopolio pubblico della forza teorizzati da Thomas Hobbes, quasi quattro secoli fa, come le condizioni del superamento dello stato di natura e del passaggio allo stato civile. In breve, la produzione, il commercio e la detenzione delle armi —di armi incomparabilmente più distruttive che quattro secoli fa— sono il segno di una non compiuta civilizzazione delle nostre società e il principale fattore dello sviluppo della criminalità, dei terrorismi e delle guerre.

39 Certamente il disarmo generalizzato e il monopolio pubblico della forza possono oggi apparire un’utopia e richiederebbero comunque tempi lunghissimi. Ma è essenziale che la questione sia dalla nostra Costituzione della Terra posta all’ordine del giorno, affinché la messa al bando delle armi nella vita sociale divenga l’obiettivo politico distintivo e unificante di qualunque forza democratica e di qualunque mobilitazione e battaglia progressista.

40 Infine, una Costituzione della Terra dovrebbe introdurre un’ultima garanzia della pace che varrebbe realmente a fare dell’ordinamento internazionale un vero ordinamento giuridico. Questa garanzia dovrebbe consistere nell’attuazione del monopolio giuridico della forza in capo all’Onu, già prefigurato dal capo VII della Carta delle Nazioni Unite. Si realizzerebbe così il progressivo superamento degli eserciti nazionali, già auspicato da Immanuel Kant più di due secoli fa2. Solo così si realizzerebbe — contro l’illusoria e insensata volontà di potenza degli Stati, collusa con gli interessi delle industrie di armi che delle spese miliari sono i soli beneficiari — l’effettivo passaggio della comunità internazionale dallo stato di natura allo stato civile.

6. Un apartheid mondiale. I morti per fame e per malattie non curate. Per un garantismo sociale globale

41 La terza emergenza che la Costituzione della Terra dovrà affrontare è costituita dalla crescita nel mondo delle disuguaglianze, della povertà, della fame e delle malattie non curate. I dati statistici sono terribili. Sono 821 milioni le persone che nel 2018 hanno sofferto la fame e la sete e oltre 2 miliardi quelle che non hanno accesso ai 460 farmaci essenziali o salva-vita che fin dal 1977 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito che siano accessibili a tutti. Le conseguenze di questi flagelli sono spaventose: più di 8 milioni di persone —24.000 al giorno—, in gran parte bambini, muoiono ogni anno per mancanza dell’acqua e dell’alimentazione di base. Altrettante persone muoiono per la non disponibilità dei farmaci salva-vita, vittime del mercato oltre che delle malattie, dato che taluni di questi farmaci sono brevettati, o peggio non prodotti per difetto di domanda nei paesi ricchi, riguardando malattie infettive —infezioni respiratorie, tubercolosi, Aids, malaria e simili— in questi paesi debellate e scomparse.

42 Queste tragedie non sono catastrofi naturali. Sono il risultato della mancata attuazione delle garanzie che avrebbero dovuto essere introdotte in attuazione delle tante carte internazionali dei diritti umani. Tutti i diritti stabiliti dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali stipulato a New York il 16 dicembre 1966 —il diritto alla salute, il diritto all’istruzione, i diritti alla sussistenza— sono rimasti sulla carta, ineffettivi e violati, come provano le decine di milioni di morti ogni anno per fame, per mancanza di acqua e per malattie non curate.

43 Siamo dunque in presenza di una gigantesca, criminale omissione di soccorso, che si aggiunge alle politiche criminali che hanno creato le condizioni di indigenza nelle quali vivono e muoiono, a causa delle politiche di rapina e sfruttamento promosse dal capitalismo sregolato, milioni di persone. Se prendiamo il diritto e i diritti sul serio, dobbiamo riconoscere che questi crimini sono dovuti a una colpevole carenza di garanzie e delle relative funzioni e istituzioni di garanzia. È una carenza insensata, se si pensa ai terribili effetti dell’apartheid mondiale che ne consegue: i crescenti flussi migratori, l’odio crescente per l’occidente, il discredito dei suoi valori politici, lo sviluppo della violenza, del crimine organizzato, delle guerre civili, dei razzismi, dei fondamentalismi e dei terrorismi. Ma ancor più evidente è l’insensatezza di queste inadempienze se si considera la facilità con cui questa assenza di garanzie e la povertà estrema di masse sterminate potrebbero essere superate con vantaggio di tutti, inclusi i paesi ricchi. Non costerebbe molto, infatti, impedire queste stragi. La maggior parte dei farmaci salva vita, come i vaccini contro la poliomelite, il morbillo e la difterite, che provocano ogni anno più di un milione di morti, non costano quasi nulla. Più in generale, la spesa necessaria a soddisfare i minimi vitali sarebbe bassissima. «La povertà nel mondo», ha scritto Thomas Pogge, «è molto più grande, ma anche molto più piccola di quanto pensiamo […]. La sua eliminazione non richiederebbe più dell’1% del prodotto globale»: precisamente l’1,13% del Pil mondiale, 500 miliardi di dollari l’anno, meno del bilancio annuale della difesa dei soli Stati Uniti3.

44 Basterebbe dunque una modesta redistribuzione della ricchezza a livello globale per levare dalla miseria metà della popolazione mondiale e, insieme, per promuovere lo sviluppo economico dei paesi poveri, con conseguente beneficio —la pace, la stabilità politica, la riduzione e la sdrammatizzazione delle migrazioni, una crescita economica equilibrata— anche per i paesi ricchi.

45 Contro questa emergenza umanitaria, sono molte le istituzioni di garanzia internazionali che una Costituzione della Terra dovrebbe introdurre o rifondare. Andrebbero anzitutto riformate le attuali istituzioni internazionali di governo dell’economia —la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizzazione mondiale del commercio— funzionalizzandole allo scopo, opposto a quello da esse finora perseguito, dello sviluppo economico dei paesi poveri. Andrebbero organizzate, di fronte ai giganteschi problemi sociali della fame e della miseria, istituzioni deputate alla soddisfazione dei diritti sociali previsti dai Patti del 1966. Talune di queste istituzioni, come la Fao e l’Organizzazione mondiale della sanità, esistono da tempo, e si tratterebbe di dotarle dei mezzi e dei poteri necessari alle funzioni di erogazione delle prestazioni alimentari e sanitarie: stabilendo per esempio, come prevede la Costituzione brasiliana del 1988, quote annuali del prodotto interno mondiale da destinarsi al loro finanziamento. Altre istituzioni —in tema di garanzia dell’ambiente, dell’istruzione, dell’abitazione e di altri diritti vitali— dovrebbero invece essere istituite.

46 Infine una Costituzione della Terra dovrebbe prevedere, a sostegno di queste istituzioni di garanzia, l’introduzione di un fisco globale di carattere progressivo. È questa una proposta avanzata da Thomas Piketty e da Anthony Atkinson4. Essa avrebbe, tra l’altro, il vantaggio di dar vita a una sorta di catasto dei capitali e così di assicurarne la trasparenza e di impedire l’evasione fiscale. Il finanziamento delle istituzioni di garanzia dovrebbe poi provenire, oltre che da questa imposta globale, dalla cosiddetta Tobin Tax sulle transazioni finanziarie di cui si parla da decenni e che avrebbe anche l’effetto di ridurre le transazioni puramente speculative sui mercati valutari, e inoltre dalla tassazione dell’uso e dell’abuso di beni comuni dell’umanità, come le linee aeree o le orbite satellitari o le bande dell’etere.

7. L’alternativa possibile: costituzionalizzare la globalizzazione, globalizzare il garantismo costituzionale. Ottimismo metodologico 

47 Una Costituzione della Terra —la costituzionalizzazione della globalizzazione o, che è lo stesso, la globalizzazione del costituzionalismo— sono insomma possibili5. Naturalmente i potenti interessi che si oppongono a un costituzionalismo globale non consentono facili ottimismi. Ma occorre distinguere tra improbabilità politica e impossibilità teorica; tra le ragioni politiche che rendono improbabile la prospettiva di un costituzionalismo globale e le ragioni teoriche che ad essa si opporrebbero. Una cosa, infatti, è dire che questa prospettiva è improbabile, a causa dei potenti interessi che ad essa si oppongono. Altra cosa è dire che essa è sul piano teorico impossibile.

48 Di solito le due cose vengono confuse. Uno dei compiti della nostra Scuola per una Costituzione della Terra dovrà invece consistere nel mostrare che l’improbabilità politica della prospettiva di una Costituzione della Terra fornita di adeguate garanzie non equivale affatto alla sua impossibilità teorica, e che perciò non dobbiamo confondere, se non vogliamo occultare le responsabilità della politica, tra conservazione e realismo, squalificando come «irrealistico» o «utopistico» ciò che semplicemente contrasta con gli interessi e con la volontà dei più forti. Un simile atteggiamento equivarrebbe a un’abdicazione della ragione. E varrebbe, di fatto, a confortare come inevitabili, e perciò a legittimare e ad assecondare, i processi decostituenti in atto.

49 Non è affatto vero, infatti, che a quanto accade, come troppo spesso si ripete, non ci siano alternative. Le alternative ci sono e si realizzerebbero se solo ci fosse la volontà politica di attuarle e a tale volontà non si opponessero potenti interessi privati. I problemi non sono affatto di carattere teorico o tecnico ma, purtroppo, solo di carattere politico: legati all’indisponibilità dei poteri più forti —le superpotenze militari, le grandi imprese multinazionali e i mercati finanziari— a sottostare al diritto e ai diritti. Ma si tratta di un’indisponibilità miope, che non tiene conto del fatto che nell’odierno mondo globalizzato la costruzione di una sfera pubblica internazionale garante della pace e dei diritti rappresenta oggi, non diversamente dalla formazione degli stati nazionali alle origini del capitalismo, la sola alternativa razionale a un futuro di guerre e di violenze in grado di travolgere gli interessi di tutti.

50 C’è poi un altro compito che vogliamo affidare alla nostra scuola: mostrare come le emergenze planetarie e la possibilità di affrontarle e di risolverle hanno anche generato una grande, positiva novità. Per la prima volta nella storia esiste un interesse pubblico e generale assai più ampio e vitale di tutti i diversi interessi pubblici del passato: l’interesse di tutti alla sopravvivenza dell’umanità e all’abitabilità del pianeta, assicurato dalle garanzie dei beni comuni e dei diritti fondamentali di tutti quali limiti a tutti i poteri, sia politici che economici. Esiste inoltre un’interdipendenza crescente tra tutti i popoli della terra, idonea a generare una solidarietà senza precedenti tra tutti gli esseri umani e a rifondare la politica come politica interna del mondo.

51 Questa consapevolezza della globalità dei problemi e delle loro possibili soluzioni, nell’interesse di tutti, grazie all’espansione a livello globale del paradigma garantista e costituzionale, consente dunque una nota di ottimismo: all’attuale deriva esiste un’alternativa possibile, pur se ostacolata da interessi e pregiudizi, tanto potenti quanto miopi. Una scuola «Costituente Terra» dovrà anzitutto mostrare la necessità di non confondere i problemi teorici con i problemi politici e di evitare la fallacia realista consistente nella naturalizzazione e perciò nella legittimazione di ciò che di fatto accade. Dovrà inoltre contrastare il pessimismo disfattista e paralizzante destinato a convertirsi nella rassegnata accettazione dell’esistente. Senza la «speranza di tempi migliori», scrisse Kant, «un serio desiderio di fare qualcosa di utile per il bene generale non avrebbe mai eccitato il cuore umano»6. Giacché la speranza del progresso forma il presupposto sia dell’impegno morale che di quello politico.

52 Questa relazione è stata svolta tre mesi fa, il 21 febbraio, lo stesso giorno nel quale si è avuta la prima diffusione in Italia del coronavirus. Ha così ricevuto, purtroppo, la più clamorosa e drammatica conferma la proposta in essa sostenuta: la necessità e l’urgenza di dar vita a una sfera pubblica planetaria e all’espansione a livello globale del paradigma costituzionale. Questa pandemia ha infatti un aspetto specifico rispetto a tutte le altre emergenze, incluse quella ecologica e quella nucleare. A causa del terribile bilancio quotidiano di morti in tutto il mondo, essa ha reso assai più visibile e intollerabile di qualunque altra la mancanza di adeguate istituzioni globali di garanzia. Più di qualunque altra catastrofe, ha reso urgente e universalmente condivisibile la necessità di colmare questa lacuna in attuazione delle tante carte dei diritti umani. Se ne possono trarre due insegnamenti, l’uno relativo al carattere pubblico, l’altro relativo al carattere globale delle garanzie in grado di prevenirle e fronteggiarle.

53 Il primo insegnamento consiste nel riconoscimento del ruolo vitale della sfera pubblica. Dopo anni di svalutazione liberista, improvvisamente la crisi sanitaria e la crisi economica prodotte da questa pandemia hanno fatto scoprire il valore essenziale e insostituibile dello Stato, dal quale tutti, a cominciare dai liberisti antistatalisti, pretendono letteralmente tutto: cure gratuite e fiumi di denaro, salvataggio delle vite e salvataggi delle imprese, prevenzione dei contagi e ripresa economica. Soprattutto, la pandemia ha mostrato il valore inestimabile della sanità pubblica, gratuita e accessibile a tutti, in attuazione del diritto universale alla salute previsto dall’articolo 32 della Costituzione italiana. Ha portato alla luce la miopia delle politiche dei governi, che in questi ultimi dieci anni, in Italia, hanno soppresso 70.000 posti letto, hanno chiuso 359 ospedali o reparti ospedalieri e ridotto il personale sanitario, non sostituendo migliaia di medici e di infermieri andati in pensione. Il massimo della dissennatezza è stato raggiunto in Lombardia, dove si è avuto il più alto tasso di contagi e di mortalità del mondo —all’inizio di maggio 2020 il 6,5% del totale mondiale e più della metà dei decessi registrati in Italia— a causa delle politiche irresponsabili adottate dalla Regione: la privatizzazione di gran parte della sanità; la riduzione dell’assistenza sanitaria domiciliare e del numero dei medici di famiglia; la diminuzione del numero degli ospedali pubblici, i cui Pronto soccorso sono stati invasi da malati di coronavirus e trasformati in focolai; la decisione scellerata di trasferire molti di questi malati, per la scarsità dei posti letto negli ospedali pubblici, nelle case di cura e riposo per anziani dove il contagio ha provocato una strage.

54 Improvvisamente, l’epidemia del coronavirus, con il suo carico giornaliero di morti e di contagiati, ha posto la sanità pubblica al centro delle preoccupazioni di tutti. Ha sollecitato e promosso il potenziamento del sistema sanitario, la moltiplicazione dei posti letto e dei reparti di terapia intensiva, l’aumento del numero dei medici e degli infermieri e la produzione delle necessarie attrezzature sanitarie. Ha mostrato l’irrazionalità —e, a mio parere, l’incostituzionalità, per contrasto con il principio di uguaglianza— dell’esistenza, in Italia, di 20 sistemi sanitari differenti, quante sono le Regioni. Ha infine reso evidente la superiorità dei sistemi politici che dispongono di una sanità pubblica, cioè di funzioni e istituzioni primarie di garanzia della salute, rispetto a quelli nei quali la salute e la vita sono affidate alle assicurazioni e alla sanità privata. Solo la sanità pubblica può infatti garantire l’uguaglianza nella garanzia della salute. Solo la gestione pubblica è in grado, in caso di pandemia, di limitare i danni provenienti dalle leggi del mercato, che impongono alle imprese, nonostante i rischi dei contagi, la corsa alla riapertura delle attività per non essere espulse dalla concorrenza o peggio per conquistare nuove fette di mercato approfittando del dramma. Solo la sfera pubblica può produrre le attrezzature sanitarie necessarie —mascherine, respiratori, guanti, tamponi, test diagnostici e simili— al di là delle convenienze economiche del momento e delle mutevoli dinamiche del mercato. Solo la sfera pubblica può destinare fondi adeguati per lo sviluppo e la promozione della ricerca medica in tema di cure e vaccini, nonché la produzione massiccia dei farmaci onde renderli accessibili gratuitamente a tutti quali beni fondamentali.

55 Non solo. Il coronavirus ha colto tutti i governi impreparati, svelandone la totale imprevidenza. Benché il pericolo di una pandemia fosse stato previsto fin dal settembre 2019 da un rapporto della Banca Mondiale, nulla è stato fatto per fronteggiarlo. In vista delle guerre si fanno esercitazioni militari, si costruiscono bunker, si mettono in atto simulazioni di attacchi e tecniche di difesa. Contro il pericolo annunciato di una pandemia non è stato fatto assolutamente nulla. Il paradosso è stato raggiunto con le attrezzature sanitarie. In previsioni delle guerre si accumulano armi, carri armati e missili nucleari. Il coronavirus ci ha fatto invece scoprire l’incredibile mancanza delle misure più elementari per fronteggiare il contagio: dalla scarsità dei posti letto e dei reparti di terapia intensiva a quella di respiratori, tamponi e mascherine, fino all’assurda insufficienza di medici e infermieri e all’assenza di un’adeguata organizzazione per l’assistenza territoriale e domiciliare. Naturalmente questa imprevidenza si è rivelata nella maniera più drammatica nei paesi, come gli Stati Uniti, che difettano di una sanità pubblica. In questi paesi, chi non ha un’assicurazione adeguata non può curarsi e decine di milioni di poveri sono abbandonati a se stessi. Impreparazione e imprevidenza sono inevitabili nei paesi poveri. Ma sono solo il segno di un’incredibile follia quando riguardano le grandi potenze, debolissime quanto alla difesa della vita e della salute delle persone. Negli Stati Uniti il presidente Trump ha in gran parte smantellato la modesta riforma sanitaria di Obama, lasciando milioni di poveri senza la possibilità di curarsi. La più grande potenza del mondo continua a produrre armi nucleari sempre più micidiali contro nemici inesistenti, ma si è trovata sprovvista di respiratori e tamponi e ha così provocato decine, forse centinaia di migliaia di morti.

56 Non meno importante e vitale è il secondo insegnamento, legato al carattere globale di questa pandemia che avrebbe richiesto una risposta a sua volta globale, decisa sulla base di strategie unitarie quali solo possono provenire da un’istituzione globale di garanzia. Basta infatti che in qualche paese o regione vengano adottate misure inadeguate o intempestive perché si riaprano, con gli spostamenti, i pericoli di contagio e si moltiplichino le infezioni e i decessi in tutti gli altri paesi. Il nostro ordinamento internazionale dispone già di un’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ma questa istituzione non è neppure lontanamente all’altezza delle funzioni di garanzia affidatele, a causa degli scarsissimi mezzi —4 miliardi e 800 milioni ogni 2 anni, in gran parte provenienti da privati— e della mancanza di effettivi poteri. Per di più ha dato prova, in questa occasione, di una clamorosa inefficienza. Occorrerebbe perciò riformarla e rafforzarla, quanto ai finanziamenti e quanto ai poteri, per porla in grado in primo luogo di prevenire le pandemie e di bloccarne sul nascere il contagio; in secondo luogo, di rispondere ad esse con misure affidate ai diversi livelli dell’ordinamento sulla base di un principio di sussidiarietà che assegni ai livelli normativi superiori l’adozione di principi guida di portata generale e ai diversi livelli inferiori il loro adattamento alle diverse situazioni territoriali; in terzo luogo, di portare i necessari soccorsi medici ai paesi più poveri e più sforniti di servizi sanitari. Se ci fosse stata una simile gestione unitaria e tempestiva multi-livello —informata al principio di sussidiarietà, ma coordinata da una vera istituzione globale di garanzia indipendente— oggi non piangeremmo centinaia di migliaia di morti.

57 Invece, ciascuno Stato ha adottato contro il virus, in tempi diversi, misure diverse ed eterogenee da regione a regione, talora del tutto insufficienti perché condizionate dal timore di danneggiare l’economia e, in tutti i casi, fonti di incertezze, confusioni e conflitti tra i diversi livelli decisionali. In Europa, in particolare, i 27 paesi membri si sono mossi in ordine sparso, adottando ciascuno strategie differenti, benché una gestione comune dell’epidemia sia addirittura imposta dai suoi Trattati costituenti. L’articolo 168 del Trattato sul funzionamento dell’Unione, dopo aver affermato che «l’Unione è garante di un livello elevato di protezione della salute umana», stabilisce che «gli Stati membri coordinano tra loro, in collegamento con la Commissione, le rispettive politiche» e che «il Parlamento europeo e il Consiglio possono anche adottare misure per proteggere la salute umana, in particolare per lottare contro i grandi flagelli che si propagano oltre frontiera». Inoltre l’articolo 222, intitolato «clausole di solidarietà», stabilisce che «l’Unione e gli Stati membri agiscono congiuntamente in uno spirito di solidarietà qualora uno Stato membro sia vittima di una calamità naturale».

58 È invece accaduto che l’Unione europea —la cui Commissione ha tra i suoi componenti un commissario per la salute, un altro per la coesione e perfino un commissario per la gestione delle crisi— ha rinunciato a prendere in mano il governo dell’epidemia con direttive sanitarie omogenee per tutti gli Stati membri. Se a questa abdicazione al proprio ruolo di governo si aggiunge il penoso conflitto tra sovranisti del nord e sovranisti del sud a proposito degli aiuti economici ai paesi che più hanno sofferto dell’epidemia, è evidente il rischio che venga meno la ragion d’essere dell’Unione, rivelatasi capace di imporre agli Stati membri soltanto sacrifici a beneficio dei pareggi di bilancio e non anche misure sanitarie a beneficio della salute e della vita dei suoi cittadini.

59 È peraltro possibile che la pandemia del coronavirus, colpendo tutto il genere umano senza distinzioni di nazionalità e di ricchezze, generi la comune consapevolezza della necessità, prospettata dal nostro movimento «Costituente Terra», della costruzione di una sfera pubblica e di un costituzionalismo globali, in grado anzitutto di garantire la salute a tutti gli esseri umani, ma più in generale idoneo ad affrontare tutte le altre sfide ed emergenze globali —ambientali, nucleari, umanitarie— che accomunano l’intera umanità.

60 Questo cataclisma, come dicono tutti, è destinato a produrre effetti sconvolgenti sul nostro futuro. Ebbene, questi effetti potranno essere regressivi o progressivi, a seconda che prevalga la cecità della legge del più forte o la ragione delle leggi dei più deboli. Potrà seguirne una crescita incontrollata delle disuguaglianze, delle discriminazioni e della disoccupazione, oppure nuove garanzie dei diritti vitali alla sussistenza e dell’uguaglianza nei diritti; un più feroce sviluppo del darwinismo sociale, oppure una rifondazione garantista del welfare all’insegna di una sua sburocratizzazione e della sua trasformazione in Stato sociale di diritto; un’accentuazione distruttiva della competizione capitalistica, oppure l’affermazione, nell’interesse di tutti, del valore razionale della solidarietà; l’ulteriore declino dell’Unione europea per il prevalere dei sovranismi del sud e dei sovranismi e degli egoismi del nord, oppure la sua rifondazione sulla base di una rinnovata solidarietà e di un effettivo sviluppo delle sue istituzioni in senso federale e costituzionale; lo sviluppo di una sfera pubblica globale sorretta da un costituzionalismo di portata universale, oppure la regressione ai vecchi nazionalismi tra loro in conflitto e ai poteri sfrenati dei mercati, in attesa della prossima catastrofe.