Editoriale di Alessio Malcevschi* apparso oggi sulla Gazzetta di Parma

A giugno si vota per il rinnovo del Parlamento Europeo ma uno spettro si aggira per l’Europa, lo spettro della sostenibilità che contrariamente al suo messaggio di benessere e di rispetto per l’ambiente ora pare evocare paradossalmente più paure che speranze. Basta ricordare cosa sosteneva qualche tempo fa l’ex ministro Cingolani: “per portare avanti la transizione ecologica occorrono cambiamenti radicali che potrebbero essere un bagno di sangue”. Non ci si deve stupire quindi se ad esempio gli agricoltori nei mesi scorsi hanno protestato contro le politiche ambientali dell’UE ispirate all’Agenda 2030, come il Green Deal, che imponendo limiti all’uso di prodotti chimici e alle emissioni di gas serra rendono i loro prodotti più costosi rispetto alle importazioni da paesi terzi. Eppure quando l’«Agenda 2030» delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile è stata sottoscritta da 193 nazioni nel 2015 l’impegno era quello di garantire un futuro migliore al nostro pianeta, dove la lotta al cambiamento climatico e per la salvaguardia dell’ambiente erano legate all’impegno per un mondo senza povertà e diseguaglianza, con città a misura d’uomo, dove regnino la pace, giustizia e istituzioni solide, obiettivi di benessere che possono essere raggiunti solo collaborando insieme, giovani e adulti, settore pubblico e privato, paesi ad economia avanzata e continenti in via di sviluppo, senza lasciare nessuno indietro.

Sostenibilità non è una ideologia o un partito ma uno spartito, qualcosa di corale, non a caso la parola deriva dall’inglese «sustain», che in ambito musicale indica il pedale del pianoforte che allunga il suono di una nota. Questo, quindi, è l’intimo significato della parola sostenibilità, qualcosa che dura nel tempo, che offre un orizzonte di senso perché homo sapiens non è un massimizzatore di utilità ma un cercatore di senso. All’inizio la comunità internazionale era d’accordo come dimostrato dalla sottoscrizione degli accordi multilaterali della Cop di Parigi nel 2015 e dalla adozione da parte della Commissione europea nel 2019 del Green Deal europeo in cui si affermava che la transizione verso la neutralità climatica avrebbe offerto opportunità di crescita economica e di nuovi posti di lavoro. In Italia nel 2022 sono stati cambiati gli articoli 9 e 41 della costituzione che sanciscono che la salute e l’ambiente sono valori da tutelare al pari della sicurezza, della libertà e della dignità umana. Poi qualcosa si è rotto. Prima è venuto il Covid e la sua onda lunga che con il suo impatto sia economico che sociale ha colpito soprattutto i più deboli, il riscaldamento del pianeta è continuato, il 2023 secondo Copernicus, il programma di osservazione della Terra dell’Unione europea, è stato l’anno più caldo mai registrato, quindi, è scoppiata la guerra in Ucraina e da ultimo la tragedia in Palestina ed il rischio di una terza guerra mondiale. In questo contesto sono aumentate la concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi e le sofferenze economiche sulle spalle di molti.

Viviamo in tempi di crisi anzi di policrisi. Il Global Risks Report 2024 del World Economic Forum di Davos ci dice che in un mondo globalizzato e complesso, che sta cambiando sempre più rapidamente, le emergenze ambientali, economiche e sociali interagiscono in modo imprevedibile, ma quel che è peggio è che le persone pare si siano rassegnate a questi shock. Crisi ci sono sempre state anche in passato ma almeno c’era l’idea di poter contare su un ascensore sociale che prometteva e permetteva un futuro migliore per i nostri figli attraverso lo studio ed il lavoro. Viviamo oggi invece in un’epoca dominata da quelle che Spinoza chiamava le «passioni tristi», contrassegnate da un senso di impotenza e di incertezza verso il futuro, in un mondo sempre più affollato in cui ci si sente più soli, con la sensazione di non essere più fatti purtroppo della materia di cui son fatti i sogni ma piuttosto di incubi. In un libro impressionante «Morti per disperazione» il premio Nobel per l’economia Angus Deaton rileva come a partire dal 2008 negli Stati Uniti le morti per suicidio, overdose di droga e alcolismo siano aumentate drammaticamente, mietendo centinaia di migliaia di vite ogni anno. In Italia secondo i dati di una recente indagine condotta da Ipsos il disagio psicologico colpisce sei italiani su dieci, soprattutto donne e ragazzi. Allora che senso ha celebrare per l’ottava volta con un festival in tutta Italia l’Agenda 2030 con il suo messaggio di speranza per un mondo migliore per tutti? Il messaggio del festival dello Sviluppo Sostenibile di quest’anno è «Un mondo senza sostenibilità? Apriamo gli occhi, guardiamo al futuro», sottintendendo che il futuro che ci serve è adesso non domani.

È qui che la sostenibilità può e deve riappropriarsi della sua anima e riprendere il suo percorso corale, sociale, come dice il messaggio del festival di Parma: «come rimettere in moto la sostenibilità: il principio di azione e relazione» superando il concetto limitato ma ancora diffuso di una sostenibilità legata solo all’ambiente e adattandolo invece al moderno concetto di complessità. Solo la comprensione della complessità della nostra vita, il suo essere porosa, le sue inevitabili interazioni con gli altri ma anche con l’ambiente, può coniugare i saperi scientifici e umanistici che servono per superare il vicolo cieco di chi cerca una soluzione semplice alle sfide che ci attendono. La parola «relazione» è la chiave che può aprire non solo le menti ma anche e soprattutto i cuori andando oltre la semplice constatazione di interdipendenza. Scriveva Hannah Arendt che noi veniamo al mondo in una condizione di pluralità e solo nell’ambito di questa pluralità possiamo scegliere eticamente e quindi agire attraverso la cura ed il dono e il festival di Parma vuole essere un dono alla città. Mai come adesso sono attuali le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’Assemblea Generale quando afferma «nella storia dell’umanità un’impresa come quella delle Nazioni Unite sorge per superare il gioco a ‘somma zero’ che caratterizzava i rapporti fra le nazioni, basato sulla regola che, per vincere, occorreva che qualcun altro perdesse. L’obiettivo è divenuto vincere tutti. Insieme» in una logica multilaterale fatta di dialogo ma anche di ascolto, in una logica umana.

* Docente di Sostenibilità Alimentare all’Università di Parma