Alain Ducasse, il grande cuoco francese, star della ristorazione e dell’ospitalità a livello mondiale, riflette sul momento che viviamo e indica ai colleghi la vera ricetta per un ruolo più moderno e consapevole in una bella intervista di Vincenzo Chierchia, caposervizio al Sole 24 Ore

Alain Ducasse ovvero l’arte francese dell’ospitalità – dalla cucina all’hotellerie, con farcitura di dolci, pane e cioccolato – che diventa globale sotto l’egida della Nouvelle Cuisine. Ducasse è un brand affermato da Parigi a Hong Kong e Tokio, passando per Londra, Montecarlo, New York, Las Vegas, Bangkok (sede dell’ultimo successo Michelin) e Doha, in Qatar, dove c’è il ristorante che, lasciatemi dire, preferisco. Una luce straordinaria su progetto di Philippe Starck nell’affascinante Museo di Arte islamica, l’Idam è un luogo dello spirito cui si accede attraverso un cammino ricco di valenza culturale che conduce gradualmente all’essenzialità dell’anima. Un’esperienza simile? La vendemmia Lvmh nel Clos Sacré di Dom Pérignon, nel cuore dell’Abbazia di Hautvillers, che domina la Valle della Marna, eccellenza della Champagne

Con Ducasse la cucina è accoglienza, esperienza, concetto, storia, ma anche modello di impresa e visione del mondo, consapevolezza delle sfide del nostro tempo, dalla sostenibilità al rispetto dell’individuo e della natura. Di Ducasse, nato nel 1956, nel sudovest della Francia, colpiscono subito la semplicità dei modi e la chiarezza della visione, fattori non scontati in un momento drammatico come quello che stiamo vivendo. «Sono nato in una famiglia di contadini e cresciuto in una fattoria e ho imparato presto a capire il significato dell’osservazione del cielo – racconta – perché il sole e la pioggia decidono i raccolti, nel bene o nel male. Mia nonna, che viveva con noi, preparava da mangiare. Ogni domenica c’era il pollo arrosto, ne ricordo ancora il gusto, il profumo: questi sono stati i miei primi momenti di emozione in cucina. Spesso mia nonna mi mandava nell’orto a prendere verdure e ortaggi maturi. Un ricordo che ha lasciato un segno indelebile in me: prima di iniziare a cucinare c’è il rispetto per la natura».

Un elemento chiave, questo, della visione del mondo di Ducasse che oggi contribuisce a definire la sua ispirazione ed anche la strategia, di fronte alla valutazione del futuro della cucina. «Si, abbiamo davanti una sfida che va al di là del settore ristorazione. Una sfida epocale che ci riguarda come abitanti della Terra. Oggi, le nostre abitudini alimentari hanno un impatto forte, anche dannoso, sull’ambiente e sulla salute. Facciamo una considerazione – sottolinea -: su circa 8 miliardi di abitanti del Pianeta, due miliardi sono sovrappeso e due miliardi invece soffrono per fame o malnutrizione cronica. C’è qualcosa che non va. L’agricoltura industriale sta devastando il suolo e uccidendo l’agricoltura di sola sussistenza. L’industria ittica intensiva sta mettendo in crisi l’arte della pesca. Gli chef devono assumersi delle responsabilità e posizionarsi all’avanguardia degli sforzi collettivi per un rapporto migliore con il cibo. Possiamo adoperarci in tal senso attraverso il cibo che prepariamo nei nostri ristoranti».

E come? «Usando meno sale – risponde – meno grassi, meno zucchero. E poi dando più spazio a verdure e ortaggi, cereali e frutta, diminuendo l’uso di proteine animali. Al tempo stesso possiamo dare più spazio ai prodotti di fornitori locali che lavorino in totale rispetto della natura. Gli chef possono contribuire spiegando i termini dei problemi all’opinione pubblica e promuovendo un modo corretto di alimentarsi».

E la pandemia, che ha colpito direttamente la filiera dell’ospitalità, sta accelerando le scelte in relazione all’evoluzione dei grandi mercati, dal lusso ai segmenti di massa. Stiamo attenti: «Il futuro sarà determinato da quello che decidiamo di fare oggi» ammonisce Ducasse che ha promosso un modello di business diversificato ma al tempo stesso coordinato tra alta ristorazione e hotellerie che abbraccia anche l’Italia.

«Ho fondato Les Collectionneurs – spiega – un brand di ristoratori e hoteliers indipendenti. Ho realizzato anche due investimenti nel settore agroturistico in Provenza. Certo, la sfide nel breve termine è quella di superare l’attuale emergenza. Italia e Francia, per le quali il turismo è importante, hanno sofferto nel 2020. Purtroppo non tutti ce la faranno, diverse imprese non supereranno la crisi. Sul lungo termine ci troveremo a confrontarci con nuovi modelli di viaggio. Il comparto dei viaggi d’affari, per lavoro, potrebbe ridursi in maniera significativa, sull’onda del ricorso allo smart working e delle abitudini ad esso connesse. Mi aspetto dei cambiamenti anche per il mercato leisure, ovvero per chi viaggia per piacere e vacanza – aggiunge -. Si potrebbero preferire destinazioni più a corto raggio visto che potrebbero essere viste come più sicure. Ma credo che la tendenza a viaggi che abbiano al centro una esperienza significativa proseguirà. Questo è un punto molto importante. C’è una tendenza a privilegiare i soggiorni in hotel con una spiccata personalità che andrà rafforzandosi, parlo di luoghi non standardizzati che diano la possibilità al viaggiatore di entrare in una connessione speciale, diretta con i territori, con le comunità».

Ducasse è un ottimista. In un periodo così complesso ha continuato a investire ed ha raccolto altre stelle Michelin, ad esempio, tra Tokio e Bangkok, ha rilanciato sulla formazione e sulle specialità (pasticceria, panetteria, caffè e cioccolato), ha portato l’alta cucina a casa dei francesi con @ducassechezmoi ha stretto un accordo strategico con Mirabaud patrimoine vivant, ufficializzato lungo la Senna (#ducassesurseine) insieme a Renaud Dutreil, ex ministro e top manager di Lvmh, appassionato di marchi di lusso ed alta cucina.

Oggi Ducasse è un gruppo articolato e globalizzato. «Abbiamo quattro principali aree di attività – racconta -. La prima è costituita da Ducasse restaurant, il core business, il nostro Dna. Il concetto è ampio, andiamo dall’alta cucina a bistrot e brasserie. E siamo presenti in tante parti del mondo. Poi abbiamo due divisioni sviluppate con dei partner: formazione ed editoria. Nel primo ambito operiamo con il gruppo leader Sommet education cui fanno capo i poli svizzeri di alta formazione Glion e Les Roches. Con Sommet abbiamo aperto il Campus di Parigi dedicato all’arte della cucina e sviluppiamo l’Ecole nazionale della pasticceria così come il Paris studio dedicato ai livelli amatoriali».

E veniamo al terzo nucleo chiave del gruppo. «Le attività editoriali sono sviluppate con Webedia, ogni anno pubblichiamo dieci libri sul cibo per professionisti e amatori». Emblematico il volume «Le grand livre della naturalitè» con le ricette del Ducasse au Plaza Athénée.

Quarta area di business è la Ducasse Manufacture, avviata nel 2013 con la Manufacture de chocolat di Parigi, esportata anche a Londra e Tokio. Del 2028 la Manufacture de café a Parigi e Londra. Elemento chiave è il controllo della filiera, dal campo ai prodotti. Anche in questo caso si guarda a lungo termine, ben oltre la crisi: «In dicembre abbiamo aperto quattro nuove chocolate boutiques a Parigi sottolinea soddisfatto Ducasse -. Puntiamo molto sul progetto Manufacture, cresceremo in Francia, Uk e Giappone, possiamo essere presenti in molti ambiti, il potenziale di crescita è molto alto». Il tutto accompagnato dal ruolo chiave dell’alta formazione. «L’obiettivo è sviluppare un punto di riferimento globale – aggiunge -. Nel caso della pasticceria i nostri studenti sono per metà stranieri, europei e non».

Un programma complesso, articolato, proiettato nel futuro, oltre l’emergenza sanitaria che morde il mondo intero. Un programma che per molti versi viene da lontano, che ha radici profonde, consolidate nel tempo. E qui torna in gioco la storia personale di Ducasse, il suo percorso formativo che si intreccia con l’evoluzione della cucina e della cultura gastronomica francese.

«Andiamo indietro alla metà degli Anni 70 – dice -. Ho lasciato la scuola di cucina di Bordeaux e sono andato a lavorare nel ristorante di Michel Guérard, Les Prés d’Eugénie, nel sudovest della Francia. Guérard era arrivato da poco da Parigi dove il suo primo ristorante, Le Pot au feu, aveva ottenuto due stelle Michelin. Al Prés d’Eugenie, ha sviluppato la sua personale visione dell’arte culinaria, fatta di leggerezza, gusto e attenzione ai temi della salute – la Cuisine minceur, ovvero dimagrante si potrebbe tradurre – e subito ottenne le tre stelle Michelin. In sintesi Guérard – insieme con Troisgros, Senderens, Chapel o Vergé – è stata una delle grandi figure della Nouvelle cuisine: semplicità, raffinatezza, leggerezza e creatività. Il nuovo paradigma».

E qui scatta un messaggio ai giovani, duramente colpiti nelle aspirazioni dall’emergenza sanitaria. Un messaggio che è un invito, ancora una volta, a guardare avanti. «Non avevo neppure vent’anni ma ero ardente di imparare – ricorda -. Mentre ero da Guérard, durante la bassa stagione, sono andato da Gaston Lenotre per apprendere panificazione, pasticceria e cioccolateria. Dopo Guérad sono andato da Roger Vergé al Moulin de Mougins dove ho scoperto la cucina provenzale. Più avanti ho incontrato Alain Chapel e sono rimasto circa due anni presso il suo ristorante di Mionnay, situato a una ventina di chilometri a nord di Lione. Questa è stata probabilmente l’esperienza più importante della mia formazione, del mio apprendistato. Con Chapel ho avuto modo di comprendere un concetto fondamentale: l’arte della cucina va ben al di là delle ricette».

E Chapel scolpi queste parole nel titolo del libro che segnò il percorso evolutivo della cucina globale.