Il cibo “Made in Italy” è la punta di diamante di un settore in forte crescita. I risultati nel rapporto Federalimentare e Censis:179 miliardi di euro è il fatturato dellʼultimo anno; 60mila aziende impegnate nel comparto, 464mila addetti e oltre 50 miliardi di export

L’industria alimentare è ormai la prima manifattura del Paese. Lo dicono i numeri del primo rapporto Federalimentare-Censis, che è stato presentato a Roma alla Camera dei deputati.

La presentazione a Roma

Con 179 miliardi di euro di fatturato annuo, 60mila aziende, 464mila addetti e oltre 50 miliardi di export in valore in un anno, il settore è anche al secondo posto in Italia per numero di imprese, per lavoratori e per valore delle esportazioni.

Per il made in Italy a tavola, questo primo posto costituisce un traguardo importante, che corona un percorso di crescita ininterrotta durato anni. Soltanto nell’ultimo decennio il comparto ha messo a segno un aumento del fatturato del 24,7%, che ha portato con sé anche un incremento dell’occupazione del 12,2%. Il vero boom, che ha spinto verso l’alto i risultati del comparto, è stato però quello delle esportazioni, che negli ultimi dieci anni sono esplose di oltre il 60%.

Oltre a generare prodotti e occupazione, e quindi esprimere un forte potenziale economico, l’industria alimentare con la sua attività contribuisce al benessere psicofisico e alla qualità della vita degli italiani, dimostrando così anche un elevato valore sociale. È anche una protagonista di rilievo all’interno della filiera del food italiano, che ha un fatturato totale di 607 miliardi di euro, in valore pari al 31,8% se rapportato al Pil, con 1,3 milioni di imprese, 3,6 milioni di addetti e che costituisce quindi un patrimonio di interesse nazionale. 

1. IL LEGAME VIRTUOSO CON ECONOMIA E SOCIETÀ

Il presente Rapporto racconta il valore economico e sociale dell’industria alimentare italiana: 179 miliardi di euro di fatturato annuo, 60 mila imprese, 464 mila addetti e oltre 50 miliardi di export in valore in un anno.

Nelle graduatorie dei settori manifatturieri italiani è al primo posto per fatturato, al secondo posto per numero di imprese, per addetti e anche per l’export in valore.
In dieci anni il suo fatturato ha registrato un incremento del 24,7% in termini reali, il numero di addetti del 12,2% e il valore delle esportazioni in termini reali del 60,3%.

È componente di rilievo della filiera del food italiano, dai campi alla tavola, che a sua volta ha un fatturato annuo di 607 miliardi di euro, con 1,3 milioni di imprese e 3,6 milioni di addetti. In dieci anni il fatturato della filiera ha segnato un incremento reale del 12%, mentre gli addetti sono aumentati del 10,8%. Il fatturato della filiera del food italiano ha un valore pari al 31,8% di quello del Pil.

Numeri più che sufficienti per considerare l’industria alimentare patrimonio nazionale e il supporto alle sue esigenze come componente di primo piano dell’interesse nazionale italiano. Eppure, l’industria alimentare italiana non è solo un colosso che genera prodotti e occupazione, e conquista da “alfiere del Made in Italy” i mercati globali, ma ha un’anima radicata nel nostro tempo; il suo agire incarna valori e genera soluzioni che si materializzano in prodotti che rispondono alla molteplicità di bisogni materiali e immateriali degli italiani.

È questo il valore sociale dell’industria alimentare, che significa, in estrema sintesi, che la sua concreta attività contribuisce in tanti modi al benessere psicofisico e alla qualità della vita degli italiani. Potenza economica ed elevato valore sociale spiegano l’inscalfibile, elevata fiducia degli italiani nell’industria alimentare, più forte di ogni campagna denigratoria e di fake news.

Il presente Rapporto, quindi, rende visibile e spiega le ragioni del legame profondo e di antica data tra, da un lato l’industria alimentare e, dall’altro, l’economia e la società italiana. Un legame consolidatosi nel tempo poiché l’industria alimentare è stata per gli italiani un formidabile facilitatore dell’accesso a livelli più alti di benessere. È un legame poi rinsaldato dalle scelte, anche valoriali, delle imprese del settore sulle grandi sfide del nostro tempo, a cominciare dalla sostenibilità, e che richiama le radici profondamente italiane di tanti suoi prodotti, l’apprezzata localizzazione dei suoi stabilimenti nei territori e il suo ruolo di ambasciatore del Made in Italy e dello stile di vita italiano nel mondo.

2. L’ ALTA REPUTAZIONE IN ITALIA E NEL MONDO

Un poderoso contributo all’economia italiana e un elevato valore sociale, generati in diversi modi a beneficio delle comunità, sono le ragioni reali dell’elevata e persistente fiducia degli italiani nell’industria alimentare nostrana.
Come rilevato, il valore economico è espresso sinteticamente e con grande efficacia da indicatori relativi a fatturato, occupazione ed export, che in modo semplice e impressivo mostrano come il settore delle imprese alimentari di per sé stesso e come componente della filiera agroalimentare sia un campione del nostro sviluppo.

L’elevato valore sociale, poi, è composto da molteplici componenti, derivanti dalla capacità dell’industria di offrire prodotti che rispondano:

  • Alla crescente articolazione soggettiva di bisogni e valori dei consumatori sulle modalità di fare la spesa e sulle diete quotidiane;

  • Alle costellazioni di valori individuali e collettivi relativi alle identità e all’organizzazione economica e sociale. Sicurezza alimentare, tutela della salute, sostenibilità ambientale, economica e sociale: tante sono le dimensioni valoriali ed etiche per le quali c’è piena sintonia tra il settore, i consumatori e la società italiana più in generale;

  • Alla necessaria sintesi tra una tradizione alimentare forte, riconoscibile, con una radice localistica, espressione di una straordinaria biodiversità tipica della nazione italiana e la mission per il Made in Italy alimentare di conquistare i mercati nel mondo con l’export;

  • Alla necessaria accessibilità economica dei prodotti con un’articolazione di prezzi che consenta, in una certa misura, a tutti i gruppi sociali di acquistare i prodotti che preferiscono, conquistando o tutelando il proprio benessere. È una funzione di promozione del benessere individuale e collettivo e della coesione sociale attraverso un welfare dei consumi.

Raccontare il valore economico e sociale dell’industria alimentare italiana consente di reinstallare la sua rappresentazione nella realtà concreta attuale, rendendo visibili le ragioni che spiegano l’apprezzamento generale di cui beneficia in Italia e all’estero, malgrado si tenti da anni di demonizzarla.

 3. I PRINCIPALI RISULTATI IN PILLOLE

3.1. Il legame profondo con la società italiana
3.1.1 Alta fiducia

L’ 86,4% degli italiani dichiara di avere fiducia nell’industria alimentare italiana. È una fiducia trasversale, che coinvolge sempre e comunque almeno l’80% dei componenti dei diversi gruppi sociali e territori. Infatti, hanno fiducia nell’industria alimentare italiana il 93,8% degli anziani, l’84,2% degli adulti e l’81,6% dei più giovani; l’86,6% dei residenti nel Nord- Ovest, l’87,9% nel Nord-Est, l’86,8% nel Centro e l’85% nel Sud-Isole; il 92,5% di chi ha conseguito al massimo la licenza media, l’84,7% dei diplomati e l’85,9% dei laureati; l’87,9% delle coppie senza figli, l’85,9% delle coppie con figli e l’87,1% delle famiglie unipersonali.

3.1.2.  Più benefici che costi per economia e società italiana

Inoltre, l’80% degli italiani ritiene che l’industria alimentare italiana generi più benefici che costi, mentre il 20% ritiene sia vero il contrario. Sono convinti che i benefici siano di gran lunga superiori ai costi: l’82,3% degli italiani al Nord-Ovest, l’83,6% al Nord-Est, l’82,3% al Centro e il 75% al Sud-Isole. E ancora: il 78,9% dei giovani, l’80,4% degli adulti e l’80,1% degli anziani; il 67,5% dei bassi redditi, il 79,1% di quelli tra 15 mila e 30 mila euro, l’87,8% di quelli tra 30 mila e 50 mila euro e l’86,5% dei redditi più alti. Fiducia e riconoscimento dei benefici dell’industria alimentare sono la prova che l’apprezzamento degli italiani è legato alla percezione della sua potenza economica e del valore sociale.

3.2.   Potenza economica dispiegata

L’industria alimentare ha un fatturato di 179 miliardi di euro, 60 mila imprese, 464 mila occupati e oltre 50 miliardi di export in valore in un anno. Nelle graduatorie dei settori manifatturieri italiani è al primo posto per fatturato, al secondo per numero di imprese e per addetti e anche per l’export in valore. In dieci anni il fatturato ha registrato in termini reali un aumento del 24,7%, mentre gli occupati sono cresciuti del 12,2% e il valore delle esportazioni in termini reali del 60,3%.
La filiera del food italiano (agricoltura, industria, distribuzione, ristorazione e altri settori interdipendenti in una logica B2B) ha un fatturato annuo di 607 miliardi di euro, 1,3 milioni di imprese e 3,6 milioni di addetti. In dieci anni il fatturato è aumentato in termini reali del 12% e gli addetti del 10,8%. Inoltre, il fatturato della filiera del food italiano ha un valore pari al 31,8% del valore del Pil. Industria alimentare e filiera del cibo rispondono a una spesa interna che, come quota del totale della spesa, è in Italia pari al 16,6%, come la Spagna, superiore a Francia (15,7%), Paesi Bassi (13,9%), Germania (13,4%) e media della Ue a 27 Paesi (16,1%). Pochi numeri che rendono evidente perché è un patrimonio nazionale da tutelare e valorizzare, rientrando a pieno titolo nel perimetro dell’interesse nazionale.

3.3.   Modalità di fare la spesa
3.3.1.  Chi gestisce la spesa in famiglia

Il 70,7% delle donne è il responsabile principale della spesa, il 26,5% se ne occupa di concerto con altri membri della famiglia e solo il 2,8% delle donne non è assolutamente coinvolto. Tra gli uomini se ne occupa come principale responsabile il 47,4%, con altri membri della famiglia il 45,8%, non se ne occupa in alcun modo il 6,8%. Tra le donne che lavorano, il 73,5% è il principale responsabile della spesa, il 26,5% è corresponsabile con altri membri della famiglia, mentrenon c’è donna lavoratrice che sia totalmente estranea alla spesa alimentare familiare. Tra gli uomini che lavorano, invece, il 49,9% è il principale responsabile della spesa, il 47,6% corresponsabile e il 2,5% non se ne occupa.

3.3.2.  I molteplici criteri d’acquisto

Molteplici sono poi i criteri di acquisto, poiché sono considerate: come molto o abbastanza importanti per l’89,9% (di cui il 43,8% come molto importante) la possibilità di variare le pietanze tra pranzo e cena e tra i vari giorni della settimana e per l’89,2% (il 42% molto importante), la possibilità di rispondere a gusti, esigenze, preferenze di tutti i membri della famiglia. L’86,5% giudica importanti (di cui il 52% molto importanti) le promozioni, le offerte e gli sconti, il 73,5% (il 24,2% molto importante) la ridotta disponibilità di tempo per pensare e fare la spesa e l’87,9% (il 37,3% molto importante) la facilità con cui i prodotti si trovano nei luoghi di acquisto.
Poi, l’84,3% reputa importante (di cui il 43% molto importante) che i prodotti non scadano subito, il 71,9% (22,4% molto importanti) la facilità e la rapidità per cucinarli; l’89,7% (di cui il 52,9% l’elevata importanza) reputa importante un’etichettatura semplice, con informazioni comprensibili e verificabili in piena trasparenza, l’80,7% (il 28,4% molto importante) la fiducia nelle marche/aziende e il 68,2% reputa importante (il 26,9% molto importante) il contenuto calorico dei prodotti. È una gamma ampia e articolata di esigenze, altrettanti argomenti di una funzione multicriteria soggettiva che, spesso in modo automatico, guida le scelte di ciascun consumatore nei luoghi della spesa.

3.4.   Come mangiano gli italiani
3.4.1.  Diete plurime

Cosa mangiano gli italiani? Il 92,7%, di cui il 68,8% abitualmente e il 23,9% di tanto in tanto, sintetizza quel che mangia dicendo mangio abitualmente di tutto con attenzione, senza eccessi ma senza vincoli rigidi o regole specifiche”. È una modalità pragmatica e operativa condivisa trasversalmente a gruppi sociali e territori. Il pragmatismo è integrato dal fatto che, il 38,6% abitualmente e il 39,2% di tanto in tanto, dichiara di privilegiare alimenti vegetali, senza però esclusione di carne e pesce, che consumano con una certa regolarità ma con moderazione. Sono i numeri del sano pragmatismo italiano, mentre approcci più estremi e strutturati sono minoritari: il 7,1% si dichiara vegetariano e il 4,3% vegano o vegetaliano.

Ci sono altri fattori che rendono molto soggettive le diete, così ad esempio il 10,9% segue una dieta prescritta da un medico o da un nutrizionista e al 32,4% capita di sospendere per un periodo o in modo permanente il consumo di uno o più prodotti alimentari poiché pensa di essere intollerante. Comunque, molto concretamente, l’epicentro della dieta degli italiani è la versione nostrana della dieta mediterranea, universalmente riconosciuta come salutare, sostenibile in senso ampio ed espressione di un sistema di valori molto apprezzato in Italia e all’estero.

3.4.2.  Autodefinizioni dello stile alimentare

Il 42,1% degli italiani a tavola nel quotidiano si definisce un abitudinario, cioè mangia più o meno sempre lo stesso cibo, il 20,5% un innovatore a cui piace sperimentare alimenti e gastronomie nuove, il 9,2% un salutista che mangia sempre e solo cibo che fa bene alla salute, il 7% un appassionato, cura la spesa e gli piace cucinare, il 6,3% un italianista, vuole sempre e solo prodotti italiani, il 5,8% un convivialista, considera il cibo importante perché occasione per stare con gli altri, il 4,4% godereccio, perché mangia sempre quel che gli piace, il resto non conta. Un quadro in linea con il pragmatismo e che conferma che solo un’offerta ad alta differenziazione interna può consentire a tutti gli italiani di avere accesso a quel che desiderano mangiare.

3.5.   Valori importanti per gli italiani, anche a tavola

Sfida epocale affrontata dall’industria alimentare, anche come leva della sua trasformazione in linea con la contemporaneità, è quella relativa ai valori etici e sociali che per gli italiani sono importanti anche quando fanno la spesa o si mettono a tavola. Infatti, il 66,7% è pronto a rinunciare a prodotti che potrebbero essere dannosi per la salute, il 52,6% a quelli non in linea con criteri di sicurezza alimentare, il 43,3% a quelli la cui produzione e distribuzione non rispettano l’ambiente, il 35,6% a quelli per la cui produzione non sono tutelati i diritti dei lavoratori e dei fornitori.

3.6.   Patrimonio e orgoglio nazionale

L’industria alimentare è oggi un patrimonio nazionale perché è sintesi di tradizione e contemporaneità, di radicamento territoriale localistico e capacità di portare l’italianità nel mondo. Infatti, c’è una riconoscibilità dell’origine localistica, territoriale di marchi e prodotti che va di pari passo con la vocazione a conquistare i mercati con il Made in Italy e, in generale, l’italianità. La dimensione localistica e nazionale dell’industria alimentare italiana è molto apprezzata, infatti il 78,3% degli italiani, quota che resta alta trasversalmente ai territori, valuta molto positivamente che gli stabilimenti dell’industria alimentare siano localizzati in Italia, perché contribuiscono alla creazione di redditi e occupazione nei territori coinvolti e sono anche il segno di una permanenza su suolo italiano di tanti marchi storici, alcuni addirittura iconici, decisivi per lo sviluppo locale e nazionale.

3.7.   Promozione del benessere e welfare dei consumi

I beni alimentari danno un contributo al benessere soggettivo non solo materiale, ma anche per dimensioni più immateriali. Infatti, il 90,7% degli italiani dice che mangiare il cibo che preferisce è importante per il proprio benessere psicofisico. Pur non rinunciando al rigoroso controllo del budget familiare, il 63,4% degli italiani per alcuni alimenti acquista solo prodotti di qualità, senza badare al prezzo. Il 79%, pur praticando diete soggettive nel perimetro di quelle tipicamente italiane, apprezza la disponibilità di nuove referenze nei punti vendita.

Tali aspetti, affiancati alle diete plurime del quotidiano, delineano l’estrema articolazione della domanda di prodotti alimentari che viene espressa dagli italiani. Solo un’offerta ampia, articolata ed economicamente sostenibile per le famiglie, quale quella garantita dall’industria alimentare italiana, può consentire l’accesso, per tutti, ai prodotti desiderati con relativo positivo impatto sul benessere soggettivo psicofisico delle persone. Del resto, pur in situazioni di crisi e nell’attuale inflazione, l’industria alimentare ha sempre garantito un’articolazione interna di prezzi che rende possibile l’inclusività, anche dei gruppi sociali più vulnerabili, nei consumi alimentari. È il senso del ruolo sociale di welfare dei consumi alimentari, che storicamente è uno dei contributi più importanti dell’industria e di tutta la filiera del cibo al benessere e alla coesione sociale italiana, nelle fasi di sviluppo come in quelle di crisi.

Il rapporto: rapportofederalimentarecensis.it